Chris Cornell: "I'm gonna break my rusty cage"
Il nostro tributo a uno dei massimi esponenti del Seattle Sound


Articolo a cura di Pamela Piccolo - Pubblicata in data: 19/05/17
«Every time I stare into the sun
Trying to find a reason to go on
All I ever get is burned and blind
Until the sky bleeds the pouring rain»

(“Nearly Forgot My Broken Heart”)

Sono trascorsi 37 anni dal giorno in cui Ian Curtis si tolse la vita mentre “The Idiot” di Iggy Pop rompeva il silenzio dilagante nel suo appartamento di Manchester. Proprio nel giorno della commemorazione del genio autore dei Joy Division abbiamo appreso della scomparsa, anch’essa prematura, di Chris Cornell. Inaspettata, ci ha raggelati e paralizzati. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che la sveglia di ieri sarebbe stata un rimbombare di notizie provenienti da tutte le testate giornalistiche e dai telegiornali nazionali e internazionali sulla morte del frontman delle eccellenze Temple Of The Dog, Soundgarden e Audioslave

Ci siamo rotti dentro, spezzati.
 
La prima cosa che sovviene pensando a Chris Cornell è la voce. Quella voce divenuta una degli archetipi della musica Rock. Un timbro graffiante, ruvido, caldo e vellutato che trasuda passione a ogni nota raggiunta.
 
Chris Cornell ha bruciato le tappe. I Soundgarden sono stati una della prime band della scena di Seattle a sottoscrivere un contratto discografico con la Sub Pop Records e la prima a lasciarla per passare a una delle più famose etichette underground degli Stati Uniti, la SST, poi a una major, la A&M. Chris Cornell e i Soundgarden hanno aperto la strada e tenuto la porta aperta a molti altri artisti passati e futuri, Nirvana inclusi. Insieme ai Mother Love Bone e ai Green River erano gli esponenti della scena di Seattle quando la città si espandeva musicalmente entro i soli confini dello stato di cui è capitale. I Soundgarden nacquero quindi ben prima del successo e dai party di fine anni ’80 Cornell si trovò a dover valicare la soglia della maturità. L’età dell’innocenza per lui finì quando Andrew Wood, suo amico e coinquilino, cantante dei Mother Love Bone, morì nel 1990 di overdose da eroina. La scomparsa di Wood avvenne nel momento in cui il vulcano musicale di Seattle aveva iniziato a dare le prime scosse e Cornell, da quel giorno, non fu più lo stesso. Incredibilmente diventa fragile.
 
Il grunge riconobbe e visse il suo momento di massima popolarità quando Andy si spense attaccato a un macchinario in un letto d’ospedale. Secondo Cornell il movimento esplose, quindi, quando era già morto, estintosi con il carisma di Andrew Wood: "Andy era un raggio di sole che ci illuminava e vederlo attaccato alle macchine ha significato, per la scena musicale, la fine dell'innocenza".
 
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Cornell ha così messo sempre più in musica i suoi sentimenti, la sua rabbia, l’onirico, la visione pagana dell’esistenza umana e, tra lo scioglimento dei Soundgarden, la formazione degli Audioslave, il cantautorato e i tour di reunion con i Soundgarden e con i Temple Of The Dog, ha reso migliori le nostre esistenze. Le sue canzoni, le sue esibizioni, il suo temperamento hanno influenzato il nostro percorso di vita. La solitudine di bambino e la depressione adolescenziale, nata dallo smunto ambiente familiare in cui crebbe, hanno creato un terreno fertile su cui la creatività di Chris si è genuinamente sviluppata fino ad arrivare intatta a oggi, 19 maggio 2017. Con le sue pene ha dipinto quadri di altissimo valore emozionale. La musica è un valore tangibile in grado di costruire ponti e creare legami e per tale motivo vogliamo ringraziare un artista che ci ha tenuto per mano per buona parte dei nostri anni, che ha bisbigliato, urlato e urlato più forte nelle nostre orecchie. 
 
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Grazie Chris per il candore, il fuoco, la poesia. Per la tua voce (ancora), commistione di gioia e dolore, rabbia e perdono, amore e rancore. 
 
Ieri abbiamo perso un amico, un fratello, un compagno, una spalla su cui poggiarci e piangere qualora necessario. Nei momenti di irrequietezza e di altalena emotiva ci lasciamo avvolgere dalla musica, Madre di tutte la arti. Cornell ha circumnavigato i suoi soli 52 anni alla ricerca di una possibilità di redenzione e si è rassegnato facendosi travolgere da una stanchezza che non supponevamo. L’empatia rimane. Anche se Chris Cornell se ne è andato i nostri io interiori continueranno a comunicare con lui e continueranno a cercarlo. 
 
Cornell aveva combattuto la sua dipendenza dall’alcol e cambiato vita. La seconda moglie Vicky e i loro figli lo resero finalmente felice. Dunque cosa ha voluto accomunare Chris a Kurt, Layne e Scott? Con fervore attendevamo un nuovo album dei Soundgarden, un album di inediti dei Temple Of The Dog e altre tournée. È indescrivibile quanto tutto questo possa sembrare lontano. Sono passate circa ventiquattro ore dal tragico evento e ancora speriamo di svegliarci da un incubo che addirittura non sembra tale proprio per il suo essere surreale. Eppure, il medico legale ha affermato che Cornell si è impiccato nel bagno della sua stanza d’albergo al MGM Grand Detroit Hotel dopo un concerto con i Soundgarden al Fox Theater della Motor City. Quale dramma, quale demone ha consumato così tanto Chris da fargli compiere un gesto sì drammatico?  Ricordate quanto amore c’era sotto la sua corazza? Ricordate la sua argentea armatura? Siamo deboli perché una parte di noi ha seguito quest’uomo dal talento unico e singolare, il cui tocco sarà senza tempo esattamente come la sua musica, spaccato di una corrente fondamentale per la storia della stessa. 
 
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Poteva però essere un segno l’hashtag #nomorebullshit al suo ultimo tweet? No, ci stiamo ragionando ora cercando di incastrare i pezzi di un puzzle che non pensavamo avremmo dovuto costruire. Che il fatto di avere incorporato in “Slaves & Bulldozers” versi tratti dal brano “In My Time Of Dying” dei Led Zeppelin all’ultimo concerto a Detroit fosse una premonizione? Tante sono le domande che ci stiamo ponendo, come: perché Cobain arrivò a soffrire di mal di pancia incurabili? Perché Layne e Weiland si sono lasciati consumare dalla mancanza di obiettivi per cui battersi? Perché Cornell si è tolto la vita? Aveva combattuto la voglia di autodistruzione che trova ampio supporto nelle liriche di “In My Time Of Dying” e di “Say Hello 2 Heaven” «I never wanted to write these words down for you with the pages of phrases of things we'll never do» e sembrava averla vinta.
 
L'era del grunge ha bussato nuovamente alla porta del Paradiso. Vi lasciamo con il brano di chiusura di quello che passerà alla storia come il concerto conclusivo di una parentesi musicale che significa più della vita: "Slaves & Bulldozers" live al Fox Theater di Detroit.
 
 «All I want for you to do is take my body home»
 
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