Un'America in bianco e nero, un bianco e nero che rievoca anche le origini di Lenny Kravitz, figlio di padre di origini ucraine e madre originaria delle Bahamas. Un bianco e nero che altresì non fa mistero degli alti e bassi della sua carriera. Dopo tre anni passati a comporre una gran quantità di materiale nuovo, ecco che ci ritroviamo tra le mani “Black And White America”, il nono album di inediti del cantante e chitarrista americano.
Il Nostro ha sempre avuto la fortuna di pubblicare dischi dall'alto potenziale commerciale, ma che generalmente da un po' di tempo non avevano un adeguato riscontro qualitativo, se non in episodi isolati che perlopiù venivano sagacemente scelti come singoli. Nel caso specifico, “Black And White America” tenta di proseguire il già buon lavoro espresso nel precedente “It Is Time For A Love Revolution”, e per certi versi non ci allontaniamo poi molto dal sentiero qualitativo intrapreso tre anni fa. Sin dal primo ascolto si nota come l'album sia nettamente diviso in due parti. La prima metà del disco è un turbinio di soul, funk e rock che crea atmosfere coinvolgenti e colme d'energia , con quel leggero tocco ruffiano che permette ad ogni canzone di essere una potenziale futura hit. Non deve quindi stupire se in “Come On Get It” troviamo un Kravitz più vicino ai lavori degli anni '90 grazie anche ad un sapiente mix di fiati e chitarre (pregevole, tra l'altro, l'assolo dello stesso Lenny), se nella title track ed in “Super Love” si strizza l'occhio al soul – funk degli anni '70, o se il singolo “Stand” risulta così semplice nella struttura, eppure così orecchiabile. A concludere idealmente la parte più energica dell'album è “Everything”, una sferzata del più genuino e classico rock n' roll tanto caro al musicista americano. L'unica nota stonata di questa prima parte è “Boongie Drop”, collaborazione con il celebre rapper Jay Z e Dj Military: non che la canzone sia particolarmente brutta, ma semplicemente è assolutamente fuori contesto.
La seconda metà del nuovo lavoro di Lenny Kravitz è caratterizzata da toni decisamente più rilassati e più intimi. Eccezion fatta per la divagazione sudamericana di “Sunflower” e per la (un po' troppo) lineare “Life Aint Ever Been Better Than It Is Now”, vi è ampio spazio per ballad e brani intimisti come “I Can't Be Without You” e l'ottima “Dream”, e questo forse è il limite maggiore di “Black And White America”: questa netta distinzione tra canzoni energiche e canzoni più pacate crea dei momenti in cui l'attenzione scema e l'ascolto diventa meno fluido. Se la disposizione dei brani all'interno dell'album fosse stata più bilanciata, se ci fosse stata un'alternanza maggiore tra momenti più coinvolgenti ed attimi più sommessi, sicuramente la facilità d'ascolto ne avrebbe giovato.
Peccato per la disposizione della tracklist e per un paio di brani francamente superflui che in parte minano la fluidità dell'ascolto, ma a conti fatti è innegabile la bontà di fondo del disco: un lavoro privo di particolari difetti, ben prodotto e suonato altrettanto bene, godibile e coinvolgente in più d'una occasione.