Se con “Come Clarity” l’evoluzione degli In Flames aveva fatto un mezzo passo indietro, forse per un tentativo degli svedesi di riconquistare i fans persi con “Reroute to Remain” e “Soundtrack to Your Escape”, con il loro ultimo album (ancora per poco, visto che quest’anno dovrebbe uscire il decimo full length di una prolifica carriera) intitolato “A Sense of Purpose” è difficile pronunciarsi: è un passo avanti o non aggiunge niente di significativo alla carriera degli svedesi? Proviamo ad analizzarlo.
Innanzitutto la struttura delle tracce: la proposta del quintetto di Goteborg si semplifica ancora di più. Troviamo un lotto di canzoni dalla struttura semplicissima (con qualche sporadica eccezione che analizzeremo di seguito), melodiche come mai lo erano state nella carriera del gruppo e con un uso di voci pulite che supera di gran lunga quello del growl/screaming, per di più in gran parte addolcito. Delle dodici canzoni dell’album difatti solo “The Chosen Pessimist”, che tra l’altro risulta essere una delle migliori, si stacca dalla ormai canonica formula “strofa arrabbiata – ritornello melodico”. Quindi gli In Flames ci hanno perso in tutto questo? In parte sì, perché stiamo parlando di una band che negli anni ha saputo evolversi in maniera coraggiosa. Difatti gli svedesi, pur snaturando completamente il sound degli esordi ed inserendo elementi che nulla avevano a che vedere con i dischi passati, erano comunque restati, a proprio modo, unici e aggressivi. In altre parole i precedenti album, anche quelli più bistrattati dai fan di primo pelo, erano comunque figli di una certa ispirazione artistica. Lo stesso non si più dire di questo platter, fatto di canzoni troppo semplici e troppo simili tra loro, per chi è abituato ad ascoltare un qualunque lavoro degli In Flames. A tutto questo si aggiunge il discorso dell’aggressività: essa è sempre stata una colonna portante dei precedenti lavori degli infiammati ed invece è uno degli elementi di cui difetta maggiormente “A sense of Purpose”; le sfuriate del trio chitarre/basso/batteria sono molto limitate all’interno di ogni canzone e ammorbidite dalla produzione, lo screaming di Anders Friden è, come anticipato, confinato, e spesso è una via di mezzo con la voce pulita.
Ok dunque un disco da buttare senza pensarci due volte? Direi di no, perchè va dato atto che, anche nella semplicità, gli In Flames sono riusciti a tirar fuori un lavoro discreto. Praticamente tutte le canzoni “prendono” al primo ascolto, non brillano per originalità e per complessità, ma sono sicuramente più godibili di tantissima spazzatura propinataci negli ultimi anni dalle miriadi di emuli della fortunata formula (commercialmente parlando) citata ad inizio recensione. Validissime sono in particolare “Disconnected” e “Drenched in Fear”, oltre alla lunghissima “The Chosen Pessimist” e, di ottima fattura, anche se talvolta con uno spiacevole retrogusto di compitino, è buona parte della tracklist. In altre parole si sente che ci troviamo davanti ad un gruppo di punta, che riesce a fare qualcosa di valido anche con il minimo sforzo. Però appunto per questo l’amaro in bocca resta, si può fare di più ragazzi.
In Flames
A Sense Of Purpose
2008, Nuclear Blast
Alternative Metal
01. The Mirror’s Truth
02. Disconnected
03. Sleepless Again
04. Alias
05. I’m the Highway
06. Delight and Angers
07. Move Through Me
08. The Chosen Pessimist
09. Sober and Irrelevant
10. Condemned
11. Drenched in Fear
12. March to the Shore
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