Arrivano al fatidico secondo album i romani The Electric Diorama, e lo fanno portando avanti, fieramente, le loro influenze verso band come 30 Seconds To Mars, Fall Out Boy e My Chemical Romance.
Purtroppo, tra questi tre gruppi citati come fonte di ispirazione, la nervatura punk che sorregge l’emo-pop di questo quintetto ha ben poco da spartire con il senso di apocalittica epicità della band di Jareth Leto, anche la teatralità della band di Gerard Way risulta assente all’appello; rimane, dunque, una certa faciloneria melodica tipica della band di Patrick Stump, unita oltretutto ad un forte senso elettronico conferito dai synth onnipresenti di Francesco Catitti che, prepotenti, confezionano brani molto groovy ed orientati su una certa forma moderna di elettronica USA che va tanto per la maggiore tra i nuovi nomi di grido della scena (ascoltate “Stronger”).

Vedete, c’è un grosso problema di fondo con quest’opera: ascoltando i diversi brani, si ha davvero l’impressione che questi ragazzi siano maggiormente impegnati a ricercare delle note che possano spalancare loro le porte di TRL, dimenticandosi, nel frattempo, di infondere la loro personalità alle diverse composizioni.
Ed è un peccato, perché di personalità questi ragazzi dimostrano di possederne: vuoi per un artwork sicuramente anomalo ed ammiccante, vuoi per testi sfacciatamente inclini al “bitch-pop” di Lady Gaga, traspare dall’ascolto una certa voglia di divertire e di divertirsi che sicuramente non guasta (in questo senso, funziona davvero bene la festaiola “Sex!” e “Mr. Fantastic” – that’s me!).

Una luce in fondo al tunnel, però, c’è, ed è proprio messa in chiusura del disco: una canzone che risponde al titolo di “Armisael”, un brano che parte su un pianoforte, si apre a cosmici sintetizzatori salvo poi esplodere in un colorato punk rock che, alla fine, si irrobustisce di un epico sinfonismo. Questo pezzo, da solo, è in grado di far capire che questi ragazzi possono uscire dal meccanismo emo-pop da MTV, se lo vogliono, e consiglierei loro di partire proprio da qui per costruire un futuro in cui la loro personalità non venga messa minimamente in dubbio come, invece, il sottoscritto ha appena fatto.

Il presente, purtroppo, è storia assai diversa, e  questo “Rollin’Rockin’Super Sonic!” non riesce minimamente a convincermi, per cui ne consiglierei l’ascolto solo a chi cerca un’alternativa meno glam dei Dari o un diversivo maggiormente elettronico dei primi Lost. Tutti gli altri, invece, possono sicuramente passare oltre.