Black Mountain
Wilderness Heart

2010, Jagjaguwar
Rock

Recensione di Davide Panzeri - Pubblicata in data: 01/10/10

E’ sempre un’esperienza eccezionale e formativa ascoltare l'album di una band che ancora non si conosce, se non per la nomea, e rimanerne piacevolmente folgorati. Decine di domande come “Ma perché non li ho scoperti prima?”, “Dov’ero io quando loro pubblicavano questi album?”, “Sono stupido?”, si instaurano immediatamente nella testa, accompagnate da una miriade di emozioni generate dall’ascolto dell’opera magna. Quello che è successo a me, una volta inserito il disco dei Black Mountain nel lettore, è proprio ciò che ho appena descritto: un mondo fatto di sgargianti colori caldi e freddi contrapposti, di bucoliche visioni psichedeliche, d’eterno rock old school, di cultura hippie; una grande passione mi ha rapito seduta stante. Cosa ancor più incredibile, sono stato costretto a recuperarmi tutta la loro discografia, non essendo per nulla sazio di questo stupendo “Wilderness Heart”. Album come “Black Mountain” e “In The Future” lasciano il segno, è innegabile, ma questa è una storia che potrei raccontarvi un’altra volta.

"Wilderness Heart" è un disco che colpisce dritto al cuore, senza pietà. Il lavoro svolto dal quintetto canadese (precisamente di Vancouver), capitanato dal barbuto Stephen McBean, dalla splendida voce di Amber Webber e dai talentuosi Matt Camirand, Jeremy Schmidt e Joshua Wells, è encomiabile. L’ecletticità dell’album è ravvisabile sin dai brani di apertura: al cipiglio southern rock e anni ’70 di “The Hair Song” si contrappone, quasi come un muro di cemento, la psichedelica e ruvida “Old Fangs”, fino a giungere alla drammaticità e la malinconia disarmante di “Radiant Hearts”, dove le voci di Sthephen e Amber si cercano, si attorcigliano, si sostengono e si amano. Uno dei pezzi più riusciti dell’intero pacchetto. Miriadi di sfaccettature, sfumature e influenze sono disseminate anche per tutto il resto del full length; mi vengono subito in mente la particolarissima “Rollercoaster” o una “Let Spirit Ride” di Sabbathiana memoria (con riferimento particolare ai Dio-years), la titletrack “Wilderness Heart”, “The Way To Gone”, in cui la parte centrale del brano la fa da padrone, oppure la conclusiva "Sadie", che, come intuirete dal nome, ci fa ripiombare in un'inaspettato stato malinconico.

I Black Mountain riescono nella difficile impresa di arrivare al terzo disco senza mai annoiare l’ascoltatore. E’ vero, lo stile musicale è rimasto invariato ed uguale ai precedenti lavori, i riferimenti e le molteplici influenze sono pur sempre gli stessi, ma una band che riesce a mantenere questo stile e questo livello qualitativo in tutti i propri dischi, senza autocitarsi continuamente, mantenendo un songwriting fresco e poliedrico è sintomo di un gruppo – passatemi il termine – con le palle. I ragazzi canadesi meritano davvero un ascolto da parte di tutti, anche di coloro che sono meno avvezzi (o non lo sono per nulla) al rock psichedelico anni ’70.



01. The Hair Song
02. Old Fangs
03. Radiant Hearts
04. Rollercoaster
05. Let Spirits Ride
06. Buried By the Blues
07. The Way To Gone
08. Wilderness Heart
09. The Space of Your Mind
10. Sadie

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