Dobbiamo noi forse continuare a credere alle dichiarazioni del nostro polpettone Meat Loaf? Nel 2003, un annuncio di addio alla scena musicale, per dedicarsi alla carriera d’attore, dopo l’ottimo “Couldn’t Have Said It Better”: peccato solo che, tre anni dopo, Meat rinnega il suo canto del cigno e non solo torna ad incidere un disco, ma lo firma “Bat Out Of Hell Part 3”, dopo un rocambolesco e definitivo divorzio dal suo partner artistico di sempre – nonché genio assoluto – Jim Steinman (i risultati di quel lavoro non sono oggetto di questo articolo, comunque sono facilmente intuibili).
Quindi, a poche settimane dall’uscita di questo undicesimo album in studio, Meat dichiara che il lavoro sarebbe stato talmente significativo, che se anche lui fosse stato costretto a dire addio alla musica dopo di esso, non avrebbe avuto alcun rimpianto, grazie all’assoluta qualità del disco.
Avrà ragione del suo manifesto entusiasmo? Rispondo dopo, lasciatemi prima introdurre meglio un disco monumentale come questo (ogni album marchiato Meat Loaf è clamoroso anche solo nelle circostanze, non c’è che dire).
Innanzitutto, “Hang Cool Teddy Bear” è un’opera tratta dall’omonimo racconto breve di Kilian Kervin e narra le avventure di un soldato, e nello specifico di 13 potenziali situazioni, rappresentate da altrettante canzoni, che il destino del nostro protagonista potrebbe avere in serbo per lui in futuro, 13 modi diversi per lui di relazionarsi ad altrettanti tipi diversi di donne e, quindi, di vita.
Altro dato significativo: Rob Cavallo alla produzione, il che significa un lavoro fastidiosamente eccellente, con ogni strumento a dir poco brillante e posizionato al posto giusto nel momento giusto.
Infine, citiamo un po’ di ospiti a caso. Alla composizione (tra gli altri): Justin Hawkins (The Darkness), Dasmond Child e Jon Bon Jovi; alle chitarre: Steve Vai e Brian May (l’avete sentita anche voi l’esplosione di bazooka?); alle voci: l’amica di sempre Patty Russo ed il mitico attore Jack Black.
Bene, ora passiamo ad analizzare un poco il versante musicale del lavoro: direi che siamo di fronte ad un’esasperazione del cosiddetto “lato b” della musica di Meat Loaf, la stessa che caratterizzava la seconda parte di “Couldn’t Have Said It Better” e che si traduce in un rock classico molto melodico, lontano dall’enfasi teatrale di Steinman che caratterizzava le prime due, leggendarie, parti della saga di “Bat Out Of Hell” (nonché ogni sporadica composizione di Jim su tutti gli album di Meat Loaf che non recavano l’altisonante titolo – basta buttare un orecchio a capolavori come “Original Sin” e “I’d Lie For You” su “Welcome To The Neighborhood”).
Inoltre, l’album si distingue per una certa durezza di suono, sorprendentemente energica se si pensa che questo grande della musica ha raggiunto, oramai, la veneranda età di 62 anni.
Detto tutto questo, e prima di tratte le conclusioni, vorrei segnalarvi alcune canzoni che ritengo particolarmente riuscite, canzoni come il primo singolo “Los Angeloser”, dove un improbabile scratch hip-hop si scioglie nella classica chitarra delle ballad hard rock, ed il tutto si risolve in un ritornello esplosivo, irresistibile ed ossessivo.
Ancora: meraviglioso il duello con Jack Black su “Like A Rose”, un divertissement che pare uscito direttamente dai Tenacious D (avete visto il film, vero?), ed il refrain di tastiera solare di “California Isn’t Big Enough For Me” che contrasta col muro di chitarra granitico di “Song Of Madness” (d’altronde, c’è Steve Vai che ci suona lì sopra…).
In effetti, in linea generale non c’è nulla di particolarmente sbagliato in nessuna canzone di questo cd: ognuna di esse sa farsi apprezzare per un qualche particolare, rendendo il lavoro sicuramente godibile e, a tratti, puramente entusiasmante.
Ok, ora è bene rispondere alla domanda posta in apertura di articolo. Ripeto: Meat Loaf ha ragione nel dire che questo è il capolavoro della sua carriera? Risposta: assolutamente no, il solo pensarlo è un’eresia.
Se è vero che a questo album non si può imputare nulla di particolarmente sbagliato, è anche vero che ci troviamo lontano dalla magia che Steinman e Loaf, insieme, sapevano creare…e non solo, visto che trovo questo titolo inferiore anche a “Couldn’t Have Said It Better” (disco su cui non v’è alcuna traccia di Steinman).
Tutto questo si traduce in un album che convince, ma non incide con forza, esattamente come fu con lo scorso “Bat Out Of Hell pt.3”.
E’ questa, in effetti, l’unica “colpa” di “Hang Cool Teddy Bear”. Tuttavia, certe persone recano con sé un pesante bagaglio artistico, ed è proprio il caso di Meat Loaf: in altre parole, che lui non risplenda è un peccato da considerare tutt’altro che veniale. Lungi dall’augurare una prematura fine alla carriera di questa leggenda della musica, il sottoscritto tuttavia suggerisce di ristabilire quanto prima i contatti con un certo compositore perché, carissimo Meat: dovesse essere questo il tuo reale, ultimo, capitolo discografico, usciresti di scena in modo eccessivamente sobrio. Ti meriti decisamente di più tu in primis, e di riflesso anche noi tuoi ascoltatori e sostenitori.
Meat Loaf
Hang Cool Teddy Bear
2010, Mercury Records
Melodic Rock
La vita post-divorzio da Steinman continua, per Meat Loaf...
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 26/04/10 01. Peace on Earth
02. Living on the Outside
03. Los Angeloser
04. If I Can’t Have You
05. Love is Not Real
06. Like a Rose
07. Song of Madness
08. Did You Ever Love Somebody
09. California Isn’t Big Enough
10. Running Away from Me
11. Let’s Be in Love
12. If It Rains
13. Elvis in Vegas
02. Living on the Outside
03. Los Angeloser
04. If I Can’t Have You
05. Love is Not Real
06. Like a Rose
07. Song of Madness
08. Did You Ever Love Somebody
09. California Isn’t Big Enough
10. Running Away from Me
11. Let’s Be in Love
12. If It Rains
13. Elvis in Vegas