House Of Shakira è un nome che alla maggior parte dei lettori di Spazio Rock potrà non dire assolutamente niente. Magari il pensiero di qualcuno correrà maliziosamente alle curve della nota popstar ma a parte questo, si capisce subito che si tratta dell’ennesimo prodotto di nicchia, l’ennesima espressione di rock melodico made in Scandinavia. Un prodotto ad uso e consumo degli appassionati del genere, se è vero che dopo circa quindici anni di carriera e sei dischi in studio (più svariati live) la popolarità della band resta circoscritta per lo più ai favori della critica. Potremmo fare un lungo elenco di bands blasonate che popolano la parte alta dei bill nei festival estivi verso cui gli House Of Shakira non temono il confronto, almeno da un punto di vista strettamente tecnico. La band svedese probabilmente sconta il fatto di essere nata agli inizi degli anni ’90, proprio quando il movimento grunge stava piantando gli ultimi chiodi sulla bara del rock a stelle e strisce.
Fatte le opportune premesse, analizziamo questo nuovo lavoro intitolato con l’acronimo stesso della band, appunto "HoS". Tutto fa pensare ad un nuovo inizio, ed infatti il disco segna l’ingresso in formazione del vocalist Andreas Novak, incredibilmente somigliante a Phil Collins in quanto a timbrica e interpretazione. Sarebbe troppo facile prendere come termine di paragone i mostri sacri Journey, Foreigner e compagnia cantante, c’è da dire che rispetto alla concorrenza gli House Of Shakira graffiano e non poco, la loro proposta è decisamente più guitar oriented rispetto all’AOR convenzionale e non mancano nel disco interessanti sequenze di riff orientaleggianti o stoppati. "HoS" conta tredici brani, decisamente troppi in questo caso, che si somigliano un po’ tutti e non lasciano traccia neanche dopo svariati ascolti. A volere dirla tutta alcuni sono piuttosto bruttini, vedi l’opener “Brick Wall Falling”, un brano così piatto che non te lo aspetteresti posto di certo in apertura. Andando avanti la situazione migliora, “Changes In Mind” ricorda il Glenn Hughes di “Can’t Stop The Flood”, “Carry My Load” ha un riff non memorabile ma almeno aggiunge un tocco di brio, siamo appena alla terza canzone ma è come se fossimo alla decima, “Zodiac Maniac” è forse il pezzo più particolare del disco, coi suoi riff “desertici” che tanto piacevano ai Queensryche di “Tribe”. Come avrete notato il disco è una sequenza di possibili citazioni per lo più ad effetto ma completamente prive di spessore. “HoS” potrebbe finire qui, le rimanenti tracce non regalano particolari guizzi o motivi di interesse, a meno che non vi accontentiate di sentire suonare una band in modo professionale. Fa eccezione “Midnight Hunger” che grazie al suo uptempo e al refrain irresistibile vince il premio di brano migliore del disco.
Dispiace essere così categorici perché si capisce che gli House Of Shakira sono a tutti gli effetti una band sincera, una band cui manca però quel pizzico di personalità che contraddistingue i capostipiti di un genere dagli onesti mestieranti di cui il mercato è pieno. “HoS” è un piacevole sottofondo e nulla più, per le pietre miliari occorre rivolgersi altrove.