“Padania”. Non uno Stato, ma uno stato mentale. Ma anche uno “stato musicale”. Uno stato (e Stato) musicale che tra la sottile ironia, la provocazione ed una rediviva ispirazione tesse le vesti per i quindici brani che si adagiano su una tensione musicale che pareva perduta, almeno in studio.
Gli Afterhours provocano e si divertono, tuttavia quest’album non deve esser visto come una presa di posizione politica, ma, appunto, come provocazione ironica di “quello che non c’è”. Dopo la battuta d’arresto energetica avvenuta con “I Milanesi Ammazzano Il Sabato” (non un disco pessimo, ma di certo carente d’energia ed irruenza), Manuel Agnelli e soci recuperano parte di quella carica tipica degli esordi della band e la rielaborano secondo le esigenze e le capacità di musicisti non più alle prime armi, riuscendo più d’una volta a coniugare passaggi acustici e pugnalate elettriche (l’opener “Metamorfosi”, nella quale i gorgheggi di Agnelli omaggiano a loro modo Demetrio Stratos), armonie orecchiabili e dissonanze tanto care ai Nostri.
Chiariamo subito: non siamo dinanzi ad un ritorno alle atmosfere epiche, oscure e melanconiche di “Ballate Per Piccole Iene”, quanto piuttosto a più dirette sferzate di alternative rock pur sempre fresche e coinvolgenti. “Padania” è permeato da un’atmosfera non opprimente, bensì rabbiosa ed ironica, quasi a contrastare la nebbia mentale di certe ideologie al limite dell’anacronismo.
L’apice della maturità artistica degli Afterhours rimane ancora “Ballate Per Piccole Iene”, ma nonostante ciò “Padania” di certo non sfigura nell’ipotetico confronto. Un album ed un approccio diverso, più diretto ma non per questo più leggero.