Certo, stiamo parlando di una tracklist ad assimilazione non immediata che pesca a destra e a manca dal mondo estremo e non per disorientare e aguzzare le antenne dell'ascoltatore; allo stesso tempo, però, la circostanza che i vari brani siano legati da leitmotiv comuni e riferimenti reciproci permette di sbrogliare il filo della matassa e trarre beneficio uditivo dal plot. Il gruppo, dunque, gestisce una varietà di influenze davvero opulenta, a partire da una produzione profonda che richiama alla lontana quella dei Periphery.
Se nelle intercapedini più tecniche e sci-fi, presenti ovunque assieme agli interludi acustici, fanno capolino rispettivamente Meshuggah e vecchi TesseracT, altrove spiccano tonalità iper-ribassate à la Fear Factory ("Sun Of War"), linee rimico-melodiche debitrici di Opeth e Tool ("Invitation" "Years In Frigid Light", Son Of War", "Holy Silence") dinamiche mutevoli in stile Fallujah ("Death Comes In Reverse"), momenti eterei e contemplativi ("Trauma Bonds", "He Is The Path"). Da rimarcare, poi, il timbro vocale pulito e colorato dell'axeman Andy Thomas, un po' Einar Solberg, un po' Mikael Åkerfeldt (con le dovute proporzioni, s'intende), mentre l'aspro growl del frontman James Dorton, pur discreto, non supera i confini del classico manierismo d'alta scuola (vedesi la sperimentale "Below").