Enslaved
Utgard

2020, Nuclear Blast
Extreme Metal

"Utgard" è la perfetta dimostrazione dello stato di salute degli Enslaved, che nonostante i 30 anni di carriera sul groppone riescono a innovare e a rinnovarsi, ma senza minimamente stravolgere una formula sempre più collaudata
Recensione di Icilio Bellanima - Pubblicata in data: 03/10/20

15 album in 30 anni di carriera, ovvero una media di uno ogni due anni, sono già di per sé un dato mostruoso. Quando poi tra quei 15 album ci sono vere e proprie pietre miliari della musica estrema, come "Frost" o "Eld", è evidente che una band come gli Enslaved siano una mosca bianca. Il combo norvegese, capeggiato sin dagli albori dall'inossidabile duo Bjørnson/Kjellson (rispettivamente chitarra e basso/voce), non solo riesce a mantenere standard qualitativi elevatissimi, ma perfino a reinventarsi, proponendo un sound contaminato, innovativo, unico, imprevedibile eppure dannatamente riconoscibile: un crocevia tra un black metal sepolto sotto decine di influenze più disparate e progressive, che su "Utgard" si arricchisce di una vena psichedelica ancor più preponderante rispetto al passato.
 

A impreziosirlo ci pensano anche il nuovo arrivato, il batterista Iver Sandøy, e la voce in pulito del tastierista Håkon Vinje, più presente che mai dopo il suo debutto sul precedente album, "E", ma le novità non rimpiazzano né azzerano il misticismo norreno alla base concettuale del progetto Enslaved, ben presente lungo tutto il lavoro e in particolare nell'introduzione dell'opener "Fires In The Dark", o nel cupo brano che dà il nome all'album, inquietante traccia spoken word che ci acclimata verso uno dei pezzi più stravaganti e incredibilmente coinvolgenti del lotto, "Urjotun", un vero e proprio tributo al krautrock, e nello specifico a Tangerine Dream e Kraftwerk, in cui gli Enslaved sembrano quasi sostituirsi agli altrettanto brillanti compagni di etichetta, gli Oranssi Pazuzu, prima di far riemergere con prepotenza il curioso incrocio di black metal, epic/viking e psichedelia nella restante parte della canzone.

 

Con la mitologia inevitabilmente tirata in ballo anche nel nome, "Utgard" è un luogo indefinito in cui l'occhio degli déi non arriva, dove i giganti fanno il bello e il cattivo tempo e solo il caos regna sovrano. Un concept utile anche a comprendere meglio l'anarchia compositiva che sguazza in ogni lavoro degli Enslaved, qui in maniera ancor più palese, tra una cavalcata di "Flight Of Thought And Memory" e "Storms Of Utgard" (in cui l'uso del basso evoca echi maideniani), una "Sequence" intrisa di shoegaze, o la capacità di rendere sensata e coerente la co-presenza di brani come la delicata "Homebound" o la furiosa "Jettegryta", la più brutale del lotto.

 

Utgard è la perfetta dimostrazione dello stato di salute degli Enslaved, che nonostante i 30 anni di carriera sul groppone riescono a innovare e a rinnovarsi, ma senza minimamente stravolgere una formula sempre più collaudata, senza rinunciare a tratti e atmosfere distintivi o alla propria coerenza artistica. Un disco in pieno stile Enslaved (un controsenso, frutto della capacità dei nostri di rendere persino le contaminazioni un proprio marchio di fabbrica), stratificato, che richiede numerosi ascolti per essere assimilato (nonostante una durata media dei brani più bassa del solito), ma semplicemente imperdibile per i fan, o per chi fosse alla ricerca di ascolti più raffinati e profondi.





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