Scorrendo la carriera/discografia del cantautore milanese Francesco Tricarico, l’impressione generale che si ha è quella di un artista che ha fatto tutto quanto in suo potere per non rimanere legato al ricordo del tormentone: “puttana, puttana, puttana la maestra!”. E a sentire come comincia questo “Invulnerabile”, sesto episodio della saga, tale idea assume un vibrante corpo costituito da una deriva di matrice blues rock che fa molto USA; non sappiamo se per fidelizzazione all’idea racchiusa nel titolo de “L’America”, ma in questo singolo apripista ti sembra di sentire un Bruce Springsteen misteriosamente votato al cantautorato all’italiana, e la cosa stuzzica parecchio.
E grossomodo tutta la prima parte del disco segue a ruota su queste croccanti coordinate, salvo poi sentire il “vecchio” Tricarico farsi sempre più strada nel cuore della composizione man mano si procede lungo il minutaggio dell’opera, fino alla conclusione di “Francesco” dove viene ripreso in toto il celebre brano del successo popolare/popolano, con minime variazioni in arrangiamento e nelle liriche su cui, francamente, preferiamo pensare all’effetto amarcord, piuttosto che soppesare la crescita dell’artista su questo nostalgico divertissment.
D’altronde, anche in questo caso si ha come l’impressione che sia la particolare, giocosa ed unica interpretazione del buon Tricarico a salvare i brani in corner, donando loro quel gusto unico che riesce – quasi sempre – a salvare la musica dallo sterile manierismo derivativo, con quei testi costruiti su idee che preferiscono viaggiare su iperboli che non per ben più dritte, quanto banali, rette. Pur tuttavia, questo è un gioco che, a lungo andare, si mostra già conosciuto, e torniamo, quindi, a preferire la prima parte avventurosa e coraggiosa, quella che ti stuzzica a chiederti come sarebbe stato il risultato finale se l’idea rock fosse stata sviluppata sino in fondo con decisione (e no, non ci basta “Frutta Fresca” lì in fondo a fare da specchietto per le allodole).
Chissà, probabilmente Francesco è invulnerabile a molte cose, ma non al potere del ricordo della sua gioventù artistica.