Wolves In The Throne Room
Thrice Woven

2017, Artemisia Records
Black Metal

La consapevolezza acquisita negli anni non affievolisce la personalità del gruppo: questa la premessa a "Thrice Woven"
Recensione di Marco Migliorelli - Pubblicata in data: 21/11/17

Nel mentre che la parabola millenaria della notte e del giorno ci allontana verso l'ignoto futuribile della relatività (quasi) assoluta, il crepuscolo del mito è ancora qui, filtrato certo, stordito, ma potente nel suo silenzio incandescente. Dal silenzio al battito sonoro delle pelli, fino al precipizio delle chitarre, il passo è breve: appena 40 minuti. Cinque lupi, un branco coeso di canzoni. Nella sala del trono irrompe il rigore norreno di una mitologia sapientemente attinta a immagine e somiglianza di un sound, come da tradizione, "cascadico": a partire dal suggestivo libretto. E sia dunque, a tre anni dal discusso "Celestite", che li volle irretiti nella costellazione insidiosa della sperimentazione, i Wolves In The Throne Room tornano finalmente al "loro" black metal; lo fanno con la ritualità dei miti ma senza fastose celebrazioni. L'essenza di "Thrice Woven" resta fedele al fuoco dell'introspezione ed al calore di voci capaci di permeare di luce brani lanciati nel bianco furore della neve come "The Old Ones are With Us", dove Steve Von Till (Neurosis), araldo dei Padri, fedele ai colori antichi di questa terra, invoca l'indulgenza primaverile di Imbolc e inalbera un brano solenne, lento e definitivo.

 

Alla solitudine invernale, carica di eterne speranze -"The fires are burning/ The offerings are given/ The children are singing"-, fa eco l'invisibile presenza dei Grandi Antichi, Old Ones, antesignani, sfuggenti e imponenti ispiratori di un ritorno fine, lucido certo più ragionato che nel prorompente, seminale monolito "Diadem of 12 Stars" all'ipnotismo ferale delle bordate a tutto tondo, selvagge e coscienti, di Aaron Weaver, mentre l'esperienza circumaurale dell'ascolto viene letteralmente circondata dalla chitarra di Nathan. La consapevolezza acquisita negli anni non affievolisce la personalità del gruppo: questa la premessa a "Thrice Woven".

 

Certo, l'inizio potrebbe risultare spiazzante: "Born From the Serpent's Eye" va a principiare come un brano degli Obsequiae, salvo poi precipitare come la massa d'acqua di Multnomah Falls, sacra terra dell'Oregon, nel blast beat, fino a far da sfondo a vocalizzi degni del più ispirato John Haughm. Il brano spicca il volo e spazza con la potenza primigenia promessa fin dal titolo ma viene a sua volta franto da un cambio totale di atmosfera. Nessuna assuefazione. Pesa e con coraggio, l'eredità di Celestite, nell'apparizione ammaliante di Anna von Hausswolff (cantante polistrumentista svedese non a caso legata a musica drone e sperimentale): la dolcezza del canto media con soluzioni già demandate in passato al cantato femminile e proietta il pezzo in un finale più lento, non sconosciuto al doom e fratello di sangue dell'ormai storico "Black Cascade". Lo smarrimento iniziale è direttamente proporzionale alla fiducia riposta nella sensibilità artistica dei Lupi. L'aggiunta del cantato femminile, come anche nella breve e acustica"Mother Owl, Father Ocean", l'aggiunta di una ulteriore dimensione percettiva.

 

"Angrboda" è il controcanto della notte, la personificazione di timore e tremore. Il pezzo più ruvido del lotto acumina la chitarra, ne punta il suono verso tradizioni più estreme. La voce non può che adeguarsi, in ossequio al tema, a quel "presagio di male" intessuto nel nome. Il riffing della strofa è ficcante, incisivo e indelebile col drumming che prende volume e cresce fra interruzioni e ripartenze.


"Mourning drums clash and wail
Essence of frankincense
Drifts in two directions"

 

Già, proprio in due direzioni: ogni canzone si tiene viva in uno scambio di tensioni narrative. Così come la prima traccia, anche "Angrboda" si interrompe a metà e riaffaccia le proprie esitazioni ancestrali su lidi ambient, ancora una volta in ambascia di più ragionati rallentamenti. Allo stesso modo "Fires Roar In The Palace of The Moon", canzone che racchiude l'afflato più epico dei Wittr, pur non dimenticando la centralità che nella fruizione dell'opera assume l'elemento atmosferico, dietro la sincerità ruvida degli strumenti primari, dei vocalizzi senza compromessi e inutili ricercatezze, avvia un ambient-amento, una predisposizione all'immersione completa. 

 

In tre spicchi d'ora, da ascoltare e riascoltare, continua la parabola millenaria della luce e dell'ombra, fedele ai colori antichi della terra. Fino al frusciare dell'oceano, che chiude l'ascolto e strappa una promessa alle fauci dell'inverno.

 

"Born in the winter
A maiden by spring
Death comes in fall"





1. Born From The Serpent's Eye
2. The Old Ones Are With Us
3. Angrboda
4. Mother Owl, Father Ocean
5. Fires Roar In The Palace Of The Moon

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