I lustri passano e nulla sembra rallentare la corsa dei Deathspell Omega, che ancora una volta sorprendono piacevolmente gli appassionati attraverso la pubblicazione di materiale inedito a quasi tre anni di distanza dal denso "The Synarchy Of Molten Bones". Considerata una delle band capitali dell'ultimo decennio in ambito black metal e oltre, il combo di Poitiers appone il settimo sigillo con "The Furnaces Of Palingenesia", ennesimo coup de théâtre di una carriera straordinaria.
Nel nuovo LP, i transalpini traducono il loro genio in una disamina spietata e grottesca della resurrezione dell'uomo dopo la morte, mettendo sadicamente il dito nella piaga dottrinale cattolica al fine di vituperare tutto ciò che concerne l'immortalità dell'anima. Munito di prodigiosa presunzione, il gruppo dissemina cumuli di inquietudine su un manto di oscurità impenetrabile: il sound dei nostri gorgheggia come un puzzle infernale le cui tessere dissonanti, sepolte diversi metri sottoterra, emergono soltanto per annunciare l'imminente ecatombe e la nascita di un Ordine nuovo di Nera fattezza. Mentre la voce di Mikko Aspa assume i connotati di una dolorosa e corrosiva recita tardo-imperiale, vertiginosa nei brani più sostenuti, slabbrata nei subdoli mid-tempo, il basso aguzzino di Khaos, sempre pronto a menare le danze, e le percussioni scientifiche dell'anonimo batterista, strangolano l'ascoltatore in una morsa asfissiante.
E così, con la precisione macabra di un chirurgo sociopatico, il disco inanella undici brani che conservano quel coagulo di fide inversa, misticismo laico e teologia caratteristico della formazione sin dal maestoso esordio "Si Monumentum Requires, Circumspice". Dal punto di vista del songwriting, la porta per eccentricità e sperimentazioni varie resta aperta, ma i pezzi, dalla durata contenuta e strutturalmente posizionati su coordinate vicine alla compattezza di "Paracletus", appaiono meno cervellotici e compressi. La sei corde intricata di Hasjarl rimane comunque sé stessa: timoniere dagli occhi pesti intento a condurre la nave nel cupo vortice del Maelstrom, il chitarrista francese non conosce confini di genere né di stile.
I clangori industrial della produzione fanno da cornice a prove di una solennità terribile ("Neither Meaning Nor Justice"), accompagnano cortei lugubri che bruciano e isteriliscono ("The Fires Of Frustration"), gridano "Ad Arma! Ad Arma!" sullo sfondo di un Espressionismo alieno e ghigliottinante. Rabbia incontenibile e diluvi di arpeggi sinistri si intrecciano in "Splinters From Your Mother's Spine", traccia ove l'act spinge al massimo la distorsione e riscopre una libertà ritmica old school capace di contagiare anche la successiva "Imitatio Dei". La sensazionale "1523" sceglie, invece, un percorso melodico, punteggiato da divine cadenze funeral doom ricche di profonda tristezza e da un singer in grado di trovare accenti di intensa angoscia declamatoria. La schizofrenia progressive di "Sacrificial Theopathy", i paludamenti sludge di "Standing On The Work Of Slaves", la sinfonia ieratica di "Renegade Ashes", mostrano, poi, l'incredibile valentia dei musicisti nell'introiettare il Caos in rigorose configurazioni algebriche e gestire, con nonchalance, un calderone di influenze disparate. E, nel finale, sia la violenza marziale di "Rigeneration Absolutist" che il lento incedere dell'outro "You Cannot Even Find the Ruins ..." appartengono alla medesima fossa di disperazione e macerie nel quale è inumato l'intero album.
L'aver toccato, in passato, tetto, cielo e stratosfera, non impedisce alla creatività dei Deathspell Omega di fluire senza alcuna remora: se "The Furnaces Of Palingenesia" rappresenta, forse, il lavoro maggiormente accessibile dei quattro moschettieri del Male, proprio la sua (relativa) facilità di assorbimento ne certifica l'intrinseca perfidia apocalittica. "We shall deprive you of any satisfaction so that the greatest of your desires is to become one of us": non serve aggiungere altro.