Non si diventa leggende volontariamente: a volte, quando le circostanze fortunate incontrano un talento straordinario, capita che i tempi siano maturi e ci si ritrovi sulle vette dell’Olimpo musicale. Gli Iron Maiden del 1986 hanno già toccato le vette della musica mondiale plasmando il neonato genere della NWOBHM a propria immagine e somiglianza. In meno di un decennio, album dopo album, la Vergine Di Ferro costruisce un mondo perfetto basato su melodie accattivanti e testi sempre più complessi; uno stile innovativo, sì, ma non abbastanza da scatenare lo scetticismo dei fan. La parte difficile però non è riuscire ad entrare nella gabbia dei leoni, bensì rimanerci: "Powerslave" è l’album che ha definitivamente incoronato Bruce Dickinson, investendolo simbolicamente quale secondo gallo nel pollaio, a fianco di Mr. Harris. La situazione è tesa, e gli Iron Maiden hanno già dato tanto in poco tempo. Sulle spalle del sesto album grava infatti il peso di consacrare definitivamente la band alla leggenda, oppure innescare il loro declino.
Questo il contesto di una scommessa registrata all'anagrafe come "Somewhere In Time".
L’artwork di Derek Riggs in copertina contiene numerosi riferimenti al passato della band: dal pub Aces High al ristorante Ancient Mariner, dagli ologrammi delle piramidi di "Powerslave" alla Phantom Opera House. Osservandolo si ha la sensazione di trovarsi davanti a un punto di svolta: la chiusura di un capitolo passato, che in futuro verrà visto con occhi diversi.
Le sonorità fresche e semplici degli esordi sono amalgamate con discrezione a ricercate linee di basso che giocano con taglienti riff di chitarra. Le guitar synth e gli effetti che coloriscono la voce di Bruce Dickinson promettono un futuro che non ha paura di sperimentazioni. La linea melodica, pur essendo attentamente studiata e spesso complessa, risulta essere molto coinvolgente. Il principale punto forte della sesta fatica in studio degli Iron Maiden è però un altro: al di là dell’ essere una conferma della validità della band, al di là dell’essere caratterizzato da sonorità innovative, "Somewhere In Time" ha un anima profonda e violenta che sconvolge i sensi di ogni ascoltatore, esemplificando divinamente la magia che contraddistingue ogni lavoro della band.
Ogni traccia racconta una storia diversa in modo assolutamente esauriente grazie a melodie variegate che descrivono perfettamente le parole. “Wasted Years”, un dolce invito alla valorizzazione del presente accompagnata da una struttura semplice e nostalgica, si contrappone all’epicità di “Alexander The Great”; così come la sbrigatività di “Deja-vu”, amplificata dalla voce distorta, è in contrasto con quel senso di irrisolta inquietudine lasciato da “Sea Of Madness”. Tutto sembra essere un perfetto compromesso tra una grandezza trascendentale e un’infantile, fresca, spensieratezza.
Il 29 settembre del 1986 esce "Somewhere In Time".
Il resto è Storia.