Le note della pianista classica Lillian Liu aprono "Winds That Pierce The Silence", un brano che, nel mezzo del consueto nugolo di cordofoni stratificati, costituisce una breve e familiare panoramica della cerimonia occulta officiata nel resto del lavoro. Con "Ego Sum Omega", canzone dinamica, ricca di dettagli armonici e conclusa da una coda maestosa, si vaga ancora nei territori amati dal gruppo; medesimo discorso per l'interludio "A Bridge Ablaze", in cui il know-how degli svizzeri (cori liturgici, loop sintetici, voci sussurrate) viene elargito a mo' di fumosa attesa. Il passaggio alla pista successiva appare franco e tirato: "Qadmon's Heir" suona corrosivo e unificante, con cenni evidenti al parossismo mistico di "The Process Of Dying".
Se "Rays Like Razors" ricorda da presso "Contradiction" in virtù dell'ipnotico riff portante, "I Burn Within You" dà la stura a intriganti esperimenti: trattasi di un pezzo d'avanguardia leggermente psichedelico e dal ritmo sincopato, nel quale il combo, assistito dal timbro teatrale e disturbante di Aldrahn (ex Dødheimsgard), cuce un arabesco melodico potente e catartico. Segue "A Paradigm Of Beauty", probabilmente la traccia più singolare del lotto: l'iniziale clima arcano scivola, attraverso una progressione strumentale abilmente costruita, in direzione di un gothic rock accattivante e luciferino, al crocevia tra The Sisters Of Mercy e The Devil's Blood. La lunga traiettoria discendente del disco prende le mosse dalla combinazione di ricerca atmosferica e sezioni in tremolo di "Katabasis"; il titanico epilogo "Innermost, Lowermost Abyss", invece, scritto tenendo ben presente il mood di "The Supernal Clear Light Of The Void", fonde, in modo esemplare e con il contributo del talentuoso Dehn Sora, dark ambient, chitarre acustiche flamencate e percussioni tribali: delicatamente scivoliamo nell'abisso del nostro Io, dove la solitudine diventa eterna e vertiginosa.
Al termine del viaggio, l'ascoltatore avverte la strana sensazione di aver vissuto una vera e propria esperienza esoterica: nonostante la densità e il minutaggio, entrambi comunque minori rispetto all'ultimo triplo LP, in "Hearts Of No Light" nessun dettaglio brancola fuori posto, il che rende la performance degli elvetici davvero notevole. Liberi e spiazzanti, i Schammasch non rinunciano alle autocitazioni, eppure, per l'ennesima volta, ampliano gli orizzonti del metallo nero, prima disintegrandolo, poi ricomponendolo in forme inusuali. Touché.