Il rhythm and blues coevo, che ha poco da spartire con quello del passato, tranne sparuti casi di artisti afroamericani, si declina in una miriade di sottogeneri che attraversano differenti gradi di elaborazione, dall'estremamente semplice e commerciale al più articolato. Il primo lavoro solista di J.Bernardt, pseudonimo dietro il quale si cela Jinte Deprez, co-frontman dei Balthazar, riesce a eludere i cliché della scena R&B attraverso un utilizzo luminoso, e da tenue dancefloor anni '90, di sintetizzatori e percussioni: tra le sperimentazioni dei Kraftwerk e ritmiche fascianti di sapore berbero, il nostro si muove agile ed epidermico, accostandosi in linea generale alle opere di musicisti come James Blake e Jamie Woon. Tuttavia i frammenti di "Running Days" appaiono meno glaciali e complessi dal punto di vista compositivo rispetto alla produzione dei due autori inglesi sopra citati, rivelandosi maggiormente accessibili e godendo di una leggerezza calda e sensuale: pezzi per certi versi simili nel risultato finale agli eterogenei arrangiamenti di Fink.
Riff ciclici di sapore africano, corde di basso ipnotiche, tastiere su cui si adagiano successioni di accordi elementari: aspetti immersi in echi e riverberi di matrice dub in grado di regalare alle dieci piste un'atmosfera soffice e affascinante. E se l'Alternative R&B fa sovente rima sia con bling-bling che con attitudini hipster e metrosexual, bisogna ammettere che il solo project belga fortunatamente segue un'altra strada, preferendo volgere l'attenzione altrove: toni sfumati e privi di eccessi, lontani da assiomi infrangibili e da facili concessioni alle tendenze in voga nel periodo odierno.
I cori soul dell'opener "On Fire" scortano gli accenti blues dell'espressiva voce di Deprez, abile nello stampigliare altresì la breve e sinuosa "Calm Down" e il caraibico ballo al rallentatore di "Wicked Streets". Gli ottoni elettronici invece colorano l'instrumental "Motel" di un fumoso minimalismo jazz-lounge, mentre le pulsioni della drum machine rispondono a cadenze Afrobeat memori di Tony Allen: screziature che rafforzano la varietà della traccia. "The Other Man" si avvale di una loquacità pop dalle modulazioni marziali, a differenza di "The Question", ove armonie fluide, chitarre nomadi in loop, cascami hip hop e youyous arabi plasmano un'avvolgente dimensione tribale, con il fiammingo impegnato a scavare nelle radici esotiche della musica occidentale contemporanea servendosi della moderna tecnologia. L'incedere orchestrale in crescendo della title-track, impregnata di aromi spiritual, chiude la serie di highlights di un platter che si caratterizza per il resto da ulteriori momenti sì sofisticati e gradevoli, ma che nulla aggiungono alle variopinte vibrazioni di un lotto che avrebbe forse giovato di un inferiore numero di brani.
Perfetta colonna sonora per viaggi mentali in compagnia di Bruce Chatwin, "Running Days" mostra un autore capace di divincolarsi dall'indie rock del gruppo d'origine per affrontare un percorso carico di uno spleen sognante privo di asprezze combinando stili diversi in un morbido ed etereo pastiche: pulviscoli melanconici per cristalline rifrazioni electropop.