Rival Sons
Head Down

2012, Earache Records
Hard Rock

Chiamatelo blues o psichedelia, fondete vari generi insieme: è inutile cercare di definire un’emozione
Recensione di Francesco De Sandre - Pubblicata in data: 14/03/13

"I know you think you've heard it all before
But you'll be telling stories of tonight
Get it left, get it right, get it up and down
And trough it all I'll be staring at your eyes
"

Messaggi di pace e gioia si fondono con riflessioni eterne contorniate dalle chitarre della vita.

Siamo qui per raccontare emozioni, per farci messaggeri di passione e gioia, di fortuna e di vita. La terra gira, e noi con essa, su di essa. E compiendo orbite ripetitive e lente, condiziona la mente umana infondendo pensieri e paranoie che nessuno può spiegare. Ancora una volta la natura è musa ispiratrice, di fronte ai semplici e puri elementi della fauna e della flora noi umani rimaniamo estasiati: basta un attimo, e la sensazione diventa arte da condividere e da apprezzare.

La quarta fatica discografica in quattro anni in cui la dedizione allo studio di registrazione è stata davvero elevata, considerando i live tour da solisti e di spalla a nomi del calibro di Ac/Dc, Slash e Coldplay, eleva i Rival Sons ad ambasciatori del Blues, sia aspro e ritmato sia armonico e penetrante, in un sound generale che coinvolge e sorprende. “Head Down” è un album poliedrico, che racchiude canzoni molto differenti le une con le altre, accomunate dalla passione per la musica, il creato e la vita che la band trasmette strofa dopo strofa.

Come un frutto che si sbuccia, dopo aver apprezzato i ritmi colorati e imprevisti dei brani più movimentati, come in “Wild Animal” o in “Run From Revelation”, dopo aver assaporato il totale inebriamento del frontamn Jay nella sua “You Want To”, passando per la hit “Until The Sun Comes”, si arriva pian piano al dolce cuore dell’album. Flash confusionali del presente e del passato illuminano le menti di chi ascolta: assonanze e riferimenti apparenti ai Led Zeppelin, lunghe strade nel deserto californiano, caleidoscopi che riflettono immagini di natura e di sentimenti umani, indiani d’america riuniti attorno al falò della fratellanza. Poi un fiume, una divinità mistica, che separa i pensieri e li traghetta attraverso lunghe anse: è “Jordan”, il brano che capovolge i ruoli, in cui tutto si placa e si lascia trasportare dalle orbite dell’universo. Poi affrontiamo ancora qualche parentesi contraddistinta dai ritmi sostenuti dell’inizio, ma l’esperienza è ormai irrefrenabile e culmina sottovoce con la micidiale doppietta “Manifest Destiny” e la conclusiva “True”, che riprende la meravigliosa armonia acustica della precedente “Nava”.

"We will lift our voices
We will pray together
My own true love
"

Chiamatelo Blues, o psichedelia, o fondete vari generi insieme, ma è inutile cercare di definire un’emozione. Non provate a citare gli Eagles o i primi Aerosmith per tentare di descrivere una musica che proviene direttamente dalle vene di chi la scrive. Per una volta abbandoniamo le etichette e apprezziamo senza maschere l’opera dei Rival Sons, artisti veri, innamorati della bellezza, della natura e delle donne: uno splendido esempio di complicità emotiva ed espressione di un sentimento che solo attraverso la musica può davvero sbocciare e coinvolgere.

"And we dance
We can dance until the sun comes up
Until the sun comes...
"



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