Voivod
Nothingface

1990, Noise Records
Progressive Metal

Buio. Silenzio. Gli oscuri spazi interstellari. Sterminati e spaventosi. Poi, dal nulla, un ronzio che via via cresce... bastano pochi nanosecondi e quello che ci attraversa le orecchie ci proietta nel Buco Nero a velocità warp. Noi non conosciamo l'Ignoto, ma Lui conosce noi: Lui sa. Così inizia uno degli album più stupefacenti di una delle band metal più stupefacenti sul finire degli Eighties
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 18/08/17

All'epoca di cui ci occupiamo, i Voïvod erano un'inspiegabile meteora nel paradiso delle metal band. Parentesi: all'inizio (1981-'82) i nostri erano esorditi sulla scia di SlayerVenomCeltic Frost: uno speed thrash ruvido e senza fronzoli, farcito di riferimenti fantasy-fantascientifico-belligeranti. Ma già col terzo album "Killing Technology" (1986), la band si allontana dai colleghi thrashers ed elabora un proprio stile personalissimo, e i Voïvod sperimentano per la prima volta una formula destinata a ripetersi e perfezionarsi nei dischi successivi: il concept, apocalisse in otto/nove capitoli. Il tema ricorrente, declinato in diverse variazioni, è sempre lo stesso: "un inquietante essere alieno, proveniente da chissà dove e giunto qui chissà come, osserva il nostro pianeta, studia la razza umana; ne studia le follie, le ossessioni, le paure. Non per guarirle ma per conoscere i punti deboli e decidere dove attaccare. Il nostro sterminio sarà il suo trionfo. Ma...". "Nothingface" interrompe il sodalizio col produttore Harris Johns, veterano del thrash teutonico, ed entra in scena Glen Robinson, che confeziona per la band un suono decisamente più flat, freddo e nitido che nei precedenti. Parliamo di un'epoca in cui - tranne rare eccezioni - lo standard produttivo dei dischi metal era: batteria fustino + chitarre zanzara + basso fantasma = chefigoraga, tanto per chiarire. Oggi col digitale è tutto diverso.

Con l'album "Nothingface" la band raggiunge un equilibrio ad oggi insuperato nel mettere a punto il modello del concept che in quest'ultimo, già orientato alle inquietudini degli anni '90, è declinato in senso esistenziale. L'alieno è definitivamente dentro; siamo definitivamente noi, l'altro. Credo che chiunque dia anche solo un'ascolto superficiale si renderà conto della fantasia, della perizia, dell'ispirata abilità compositiva ed esecutiva della band. Il disco è infarcito di classici: "The Unknown Knows": sublime che, dopo la spezzatura folle dei ritmi e delle armonie oblique, vira improvvisamente al.... blues con tanto di fisarmonica synth! " X- Ray Mirror": emozionante; "Into My Hypercube": toccante; "Pre-Ignition" che comprende in alcuni passsagi ampie riletture de "la Sagra della Primavera" di Stravinskyj; la stessa title track. E poi c'è "Astronomy Domine" dei Pink Floyd (o dovrei dire di Syd Barrett?): una delle più brillanti metal cover mai dedicate alla rockband inglese, perfettamente amalgamata nel sound e nel concept del disco, di cui all'epoca fu anche girato un videoclip. Se il lato A ci prende per mano come bambini al parco giochi, il lato B (perchè di lati e di vinili occorre parlare...) ci abbandona a luci spente nel castello degli orrori cosmici... sino alla conclusiva "Sub-Effect", è tutto un precipitare al fondo del Multiverso e mentre il disco si conclude, e l'alieno che noi siamo precipita dentro sé stesso dissolvendosi urlante nel nulla, anche il brano si smonta letteralmente tra le nostre orecchie, agonizza e, come un meccanismo difettoso si inceppa, muore. Too late for S.O.S. All'epoca i critici, soprattutto francesi, già estasiati dal precedente "Dimension Hatröss", gridarono al miracolo. Ma pochi altri con loro.

 

Come mai, direte voi, se il disco è così superlativo? Almeno tre ragioni: 1) il pubblico, 2) il mercato, 3) la sfiga. Mi spiego: 1) come è noto, il pubblico metal è generalmente conservatore, prende male le novità, è refrattario ai cambi di line-up, per non dire di stile, di una band. Squadra che vince non si cambia. Inoltre, all'epoca, i metallari bazzicavano poche riviste, non c'era internet e non si leggevano le recensioni degli album in uscita, se non tra sparuti nerd. C'era il passaparola, e una fede basata su solide certezze: che Angus Young rotolerà sul palco con la SG in abito da scolaretto; che Rob Halford, borchiato dalla testa ai piedi con occhiali a goccia, monterà un chopper per cantare "Hell Bent For Leather"; che Steve Harris metterà il piede sul monitor puntando il basso al pubblico come un AK-47; che Tom Araya, mentre suona "Postmortem", chiederà al pubblico se vuole morire, e la risposta sarà sempre sì... e poi ricordate che accadde quando i Kiss osarono togliersi le maschere? Tutto gioca a sfavore dei nostri Voïvod, i quali puntano tutto sulla musica, sono poco appariscenti, un po' snob, non gigioneggiano, faticano a mantenere lo stesso sound per più di 2 album (ascoltare la loro discografia tutt'ora in opera per credere); in più, i nostri sono canadesi, quindi strani per definizione (ricordate il ruolo di Alanis Morrisette nel film "Dogma"?); e non giocò a loro favore il non poterli incasellare con sicurezza in un genere: thrash metal, va bene, ma con pezzi assurdi e complessi... prog, può darsi, ma chi diavolo fa prog metal come i Voïvod? Non fanno neppure pezzi da dieci minuti! Non sono mica i Dream Theater (proprio allora esordienti). E poi il cantato è così screanzato, così poco impostato, così punk... avete capito. 2) Il 1990 è anno spartiacque per il genere, che da lì a breve sarà rivoluzionato da vari cicloni (il grunge, la crisi del metal classico anni '80, i Pantera di "Cowboys From Hell", i Guns 'n' Roses, i Metallica del "Black Album"...) e si sciorinano grandi dischi ("Rust In Peace" dei Megadeth, "Painkiller" dei Judas Priest, "Never, Neverland" degli Annihilator, "Human" dei Death, "World Demise" degli Obituary, "Beneath The Remains" dei Sepultura, solo per citarne alcuni), tra cui il grandissimo in questione passa inosservato. E poi, sempre in agguato, c'è: 3) la scalogna nera che perseguita la band. Da quando rubarono tutta la loro strumentazione poche ore prima di incidere "Rrroooaaarrr", secondo album, che ne uscì compromesso nella resa sonora. O il gravissimo incidente stradale che la coinvolse nell'estate del 1999 e portò a un nuovo iato. O il fatto di avere avuto per un po' Jason Newsted come bassista, che è già di per sé una jella. Per questi tre semplici motivi, "Nothingface" non consacrò la band al grande pubblico; rimane a tutt'oggi l'album di maggior successo dei Voïvod, e l'unico ad essere entrato nella classifica di Billboard 200; ma la band, ben consapevole del proprio valore e presumibilmente frustrata dei miseri risultati, nei due dischi successivi abbandonò il concept, il thrash e (quasi) il metal per sfornare come trio due dischi space rock di tutto rispetto ("Angel Rat", 1991 e "The Outer Limits", 1993), e solo nel 1995 tornerà al metal (con "Negatron"), con una nuova line-up e un sound ormai "panterizzato" e lontanissimo dal ripido ed esaltante technical progthrash di "Nothingface". Anche se l'ultimo Ep prodotto dalla band, "Post Society", lascia ben sperare... Ma questa, suolsi dire, è un'altra storia. Da riscoprire e amare senza ritegno.





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