Era un'ultima spedizione, quella dei Monster Magnet, ma a quanto pare a Dave Wyndorf il viaggio è piaciuto talmente tanto da volerlo prolungare: così, il nono studio album dell'ormai storica band statunitense ottiene un inaspettato secondo capitolo, una particolare riedizione il cui dichiarato obiettivo è non di stravolgere i brani della tracklist originale, ma di rileggerli inquadrandoli in un nuovo scenario, abbandonando le profondità dello spazio per tuffarsi nei più malsani meandri della psichedelia.
"Milking The Stars - A Re-Imagining of Last Patrol" si riempie così di organetti hammond e di moog, che campeggiano tronfi già in apertura, sulla title track del disco originale qui privata d'ogni voce e riconoscibile solo per le sue caratteristiche rullate di batteria e per i suoi decisi riff, ma stavolta colma di acuti chitarristici e tastiere sessantiane che tanto sanno di Iron Butterfly. E gli anni Sessanta appaiono anche, non a caso, nel titolo di quello che di "Last Patrol" fu il principale singolo trainante, in una "Mindless Ones '68" che giustappone con curiosa audacia uno spirito tremendamente proggy alla collaudata e convincente assenza di fronzoli di un serratissimo stoner. E mentre un carismatico crooning quasi parlato al microfono, scandito da un convincente basso, si prende tutta la scena della commovente "No Paradise For Me", sono più soft le modifiche cui sono sottoposti brani come la stupenda "I Live Behind The Clouds (Roughed Up And Slightly Spaced)" (quasi sovrapponibile all'originale, eccezion fatta per una voce maggiormente sporcata dagli overdrive al microfono) e la solita strafottente e alcolica cavalcata di "Hallelujah (Fuzz And Swamp)", questa volta sporcata qui e là di un sapore quasi country.
Gradite aggiunzioni, infine, il breve e solido intermezzo strumentale "Goliath Returns" e l'interessante title track, che riprende e amplifica il tema degli altri brani in scaletta, costruendosi su splendidi, gravi pizzicati di chitarra e impreziosendosi con notevoli delicatezze vocali (gli stupendi "Wake me up my baby, cause I need one more day" dei ritornelli, presto nascosti da tonalità ben più plumbee): episodi che rendono ancor più appetibile anche per i non collezionisti quella che è una intelligente reinterpretazione di un ottimo album, e -cosa molto rara per questo genere di pubblicazioni- un disco estremamente interessante anche stand alone, evitando ogni riferimento all'opera di cui è appendice.