Aborted
ManiaCult

2021, Century Media Records
Death Metal

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 10/09/21

Troppo veloci per essere un rullo compressore, troppo intensi per simulare la cilindrata di un'auto sportiva, gli Aborted hanno le sembianze di un mezzo corazzato distruttivo e implacabile, spietato nel travolgere i confini più robusti senza che si adombrino ostacoli e fallimenti. Il nuovo album "ManiaCult", undicesima prova della band sulla lunga distanza, continua là dove si erano interrotti "Retrogore", "TerrorVision" e l'EP "La Grande Mascarade": un progressivo percorso di raffinamento della mattanza death/grind della prima ora attraverso l'innesto di sempre maggiori prese di black metal che, assieme alla capillare coltre atmosferica tessuta e a un groove a dir poco vorticoso, regalano ai brani l'efficacia, la compiutezza formale e la forza contundente che ci si attende da Sven de Caluwé e compagnia. Il sound rimane crudo, da spezzare il collo e le reni, forse in misura maggiore rispetto agli ultimi lavori in studio, eppure, tra i turbini di una tempesta tropicale a 100mph e gli avanzi di frattaglie in bella mostra, emerge la grande attenzione riservata dal combo non soltanto alle sfumature di ogni singolo pezzo, ma anche ai testi, ispirati alle suggestioni oniriche di uno dei racconti migliori di H.P. Lovecraft, "The Call Of Cthulu".
 
L'orrore che invade la mente di Francis Wayland Thurston, spingendolo ad atti altrettanto spaventosi, si riverbera nella foga omicida di una title track in grado di squarciare con violenza il pesante velo doomy costruito dall'intro "Verderf"; non viene meno, però, l'aspetto melodico, sublimato da un assolo a metà canzone rasente la perfezione assoluta. "Impetus Odi" e "Portal To Vacuity" grattugiano putrescenze brunite alla velocità della luce, come se i Cattle Decapitation si sforzassero di ingollare Behemoth a colazione, Benighted a pranzo e Morbid Angel a cena; "Dementophobia e la consanguinea "Grotesque" tornano a flirtare, in onore dei vecchi tempi, con i Carcass, sintetizzandone vent'anni di carriera in una manciata di minuti.
 
E mentre "A Vulgmar Quagmire" e "Ceremonial Ineptitude" mostrano, rispettivamente, dentature hardcore e profonde influenze dal metallo nero, "Drag Me To Hell" mescola brutal, deathcore epico e un certo flavor algido da sala operatoria in maniera così mirabile da meritarsi la palma di miglior episodio del lotto. Chiude i giochi "I Prediletti: The Folly Of The Gods", un diabolico muro sonoro percorso da scale orientali e vuoti inquietanti, ideale nel mettere il sigillo finale a un disco di grande qualità, quadrato, macabro, privo di vere sbavature e beneficiato da una produzione a prova di bisturi.
 
Formazione che definire belga tout-court ormai appare scorretto, vista una line-up composta, a esclusione del singer fiammingo, da due statunitensi (l'axeman Ian Jekelis e il drummer Ken Bedene) e un italiano (il bassista Stefano Franceschini, alle quattro corde con gli straordinari Hideous Divinity), gli Aborted si confermano uno dei gruppi punta dell'estremo, capaci di evolvere la propria natura conservando un matrice ben riconoscibile. L'eleganza raccapricciante e feroce di "ManiaCult" non perdona.




01. Verderf
02. ManiaCult
03. Impetus Odi
04. Portal To Vacuity
05. Dementophobia
06. A Vulgar Quagmire
07. Verbolgen
08. Ceremonial Ineptitude
09. Drag Me To Hell
10. Grotesque
11. I Prediletti: The Folly Of The Gods

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