La title track e l'iconica "Métal Noir" danno fuoco maestosamente alle polveri, divampando attraverso una crudele carneficina di riff intrecciati alle trine gotiche delle tastiere e a improvvise variazioni di ritmo, con una turgida e smembrante serie di empie imprecazioni a corredo. Seguono sei tracce di impronta metafisico-religiosa e di durata massiccia, che alternano passaggi frenetici e infettivi ad atmosfere sottili e ricercate; il gruppo ingloba tremolo picking e blast beat in raffinati arrangiamenti sinfonici, pervenendo, pur con la Norvegia nel cuore e i Merrimack nella testa, a un dialogo strumentale da golfo mistico che ricorda tanto i migliori Carach Angren quanto le venature setose dei Cradle Of Filth. Gli stati d'animo dei brani mutano ininterrottamente, passando dall'eccitazione per le colate di emoglobina di "Sacrifice De Sang" alle esplosioni di rabbia di "Ex-Cathédrale", dalla biliosa malinconia di "Hymne Au Vampire" (Acte III), all'efferatezza emotiva di una "Les Océans Du Vide" temperata dai ricami della viola e della chitarra acustica. Vasto, ambizioso e aggressivo, il platter beneficia di una produzione terremotante, opera di Francis Caste e capace di conferire al sound del sestetto una veemenza espressiva manifestata forse mai in maniera così compiuta e coerente. Aspetto che traspare con forza dall'arroventata chiusa "Le Thriomphe De Lucifer", uno specimen perfetto di messa nera dallo spiccato taglio corale ed estetizzante.
Un lavoro, dunque, permeato di morbosa nostalgia per un'epoca musicale sepolta dalle sabbie del tempo, e, al medesimo istante, frutto prezioso della maturità compositiva di una band in grado di ricostruirsi a ritroso un'identità smarrita e di canalizzare la furia talvolta ingenua dell'apprendistato novantiano nelle maglie di una scrittura meno istintiva e adolescenziale. I francesi urlano e bestemmiano, certo, ma non a caso, né perché gonfi di rigurgiti da scomunicati d'operetta: l'odio verso il pensiero istituzionale e dogmatico ravvisabile, secondo il combo, soprattutto - benché non in modo esclusivo - nel cattolicesimo, attinge al vocabolario di una lingua madre elegante, a tratti addirittura pretenziosa, sigillata nelle forme metriche dell'alessandrino e ricca, oltre che di sofisticati giochi di parole, di riferimenti intertestuali a tre componimenti di Charles Baudelaire ("Le Voyage", "Les Litanies De Satane", "Le Vampire").
Il discorso diventa sfumato e apparentemente contraddittorio, e lo stesso concept del disco, connesso all'incendio della cattedrale di Notre-Dame occorso nell'aprile del 2019 - tragico evento effigiato anche sulla cover -, contribuisce all'ambiguità del messaggio lanciato dall'act bordolese, che va al di là della provocazione profanatoria come dello sfruttamento promozionale di determinati simboli e credenze. In sostanza, la vexata quaestio relativa allo spirito autenticamente esecrando del black metal trova nei Seth una risposta interessante e sorprendente, quasi un'ammissione dolorosa della necessità vitale di un rapporto di dipendenza: se la cultura cristiana muore, o, peggio, si mummifica, anche il genere oscuro per eccellenza corre il pericolo, mancando l'antagonista dialettico principale, di perdere la propria essenza umana e libertaria.
L'ebbrezza per la caduta dei nemici, simboleggiata dalla distruzione della chiesa parigina, si stempera nella contemplazione apocalittica del vuoto: e la "Morsure Du Christ", luce spettrale che emerge da un cielo coperto di cenere, diventa la Via Crucis di un mondo prossimo all'autodafé.