Kirk Windstein, un nome leggendario dello sludge: la fondamentale militanza in formazioni come Crowbar, Down e Kingdom Of Sorrow lo ha reso, nel tempo, un punto focale della fangosa scena metal di New Orleans. Il barbuto cantante e chitarrista del Middlesex resta, forse, l'unico candidato degno di ereditare il trono sinora dominato da Scott "Wino" Weinrich; e conoscendone la straordinaria etica del lavoro, la notizia dell'uscita di un suo album solista non poteva certo lasciare indifferente la platea dei numerosi estimatori.
"Dream In Motion" mostra un approccio alquanto rilassato che fa molto anni '70 - significativa la reinterpretazione in coda di "Aqualung" - e, malgrado non si tratti di un LP da fiori nei cannoni, il songwriting appaga comunque la propria sete alla fonte meno cupa dell'universo sabbathiano. La macchina sbuffa ancora pesantezza (prevedibile, data la discografia dell'artista), ma quest'ultima suona più atmosferica che sbattuta in faccia, più un sostrato che un vettore del riffing. I momenti migliori del lotto non vanno rintracciati tra i solchi canonicamente heavy di "Hollow Dying Man" e "Toxic", bensì nelle bozze psichedeliche della title track, nei pigri umori sudisti di "Once Again" ed "Enemy In Disguise", nelle sfumature agrodolci di "Necropolis", nella lenta combustione di "The World You Know". Con la voce inconfondibile del nostro a caratterizzare ogni singolo brano.
Nulla di imprescindibile, eppure "Dream In Motion" reca la specifica impronta di Kirk Windstein, capace di infondere anima a qualsiasi progetto in cui funga da protagonista. Anche quando affiora subdola l'impressione di ascoltare una "Planet Caravan" portata troppo per le lunghe.