Kataklysm
Of Ghosts And Gods

2015, Nuclear Blast
Death Metal

Recensione di Eleonora Muzzi - Pubblicata in data: 02/08/15

Si dice che i canadesi siano persone gentilissime e difficili alle dimostrazioni di cattivi sentimenti. A quanto pare, mentre distribuivano la carineria ai loro compatrioti, i Kataklysm dovevano essere in fila per un concerto dei Vader. Non si spiega altrimenti come possano essere, da ormai quasi un quarto di secolo, tra gli esponenti più illustri del death metal.
 

"Of Ghosts And Gods", ovvero il loro dodicesimo studio album, esce a due anni di distanza da "Waiting For The End To Come" con dieci tracce che, più o meno, riprendono da dove il precedente aveva lasciato. Il disco, seppure non sia un concept, segue comunque un filo conduttore avvolto attorno al tema della religione e di tutto ciò che ne consegue. Proprio come dimostrato da "The Black Sheep" e "Carrying Crosses". In generale, tutte le liriche vertono sull'attualità, senza risparmiarsi una forte critica alla società odierna. Insomma, la band canadese non le manda certo a dire, sottolineando il proprio punto di vista con la tradizionale carica di rabbia e anti-conformismo neanche stavolta erosa dal tempo.

 

Musicalmente abbiamo il classico disco dei Kataklysm: intermezzi tratti da film (l'intro di "Breaching The Abyss"), inserti melodici nelle linee di chitarra e Iacono in gran forma.


Ad un primo ascolto, "Of Ghosts And Gods" può sembrare un disco abbastanza standard ma qualcosa bolle di certo in pentola. Per capirlo, c'è da ascoltarlo più di una volta. It grows on you, dicono gli anglofoni, ed effettivamente è vero, "Thy Serpent's Tongue" ne è l'esempio lampante. Rispetto al solito rullo compressore a cui la band ci ha abituato c'è un che di più orecchiabile. Anche dal vivo, i brani nuovi differiscono dal solito, hanno un tiro particolare, diverso da altri più diretti come la celeberrima "Crippled And Broken", eppure altrettanto piacevole da ascoltare.

 

"Of Ghosts And Gods" è un disco che non merita un ascolto passivo, poiché così facendo si rischia di farsi sfuggire quei piccoli dettagli capaci di renderlo un buon album con quel tanto di mistero ancora da esplorare.





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