Ci sono album che parlano da soli per cui chi scrive si trova nel terribile conflitto di dover descrivere qualcosa che è realmente riuscito e coinvolgente, senza poter attaccare direttamente gli artefici di un prodotto che ha già segnato positivamente e costruttivamente la prima frazione del 2015 Pop. James Bay non ha fatto nulla se non essere se stesso; un concetto, quello della diretta proiezione delle proprie capacità, che trova il senso che trova una volta inserito nel contesto del grande mainstream. Ma questa volta va riconosciuta l’intelligenza di Republic Records (già Amy, Damian Marley, Jack Johnson, Mika, Weezer) nell’essere riuscita a promuovere l’essenza personale di un artista che non fa altro che giocare con le proprie capacità, all’insegna dell’essenziale, contando su una personalità vocale unica e una strumentazione Chic-Folk in cui energia e riflessione rilassante sono inconsciamente magnetiche.
James Bay è analitico e anarchico nella sua compostezza artistica da orchestrale punk, una sorta di antagonista di Ed Sheeran, pur essendo appartenente alla stessa corrente promozionale. Potrebbe essere suo cugino, quello che non si vede mai ma con il quale, al matrimonio dello zio, è bello fare disastri insieme. La tendenza del momento è la ricerca di questi prodigi da strada, per poterli catapultare in alto e vedere come lavorano. E si arriva dopo qualche mese alla vetta UK, all’apice – iTunes gongola – di Nuove Zelanda e Australia e al doppio platino in mezza Europa. In Italia è già oro.
“Chaos and the Calm” è semplice, coriaceo, è un pianoforte e una chitarra acustica in un salotto di legno che si trasforma in taverna a cielo aperto, lo stesso cielo che, silente e amorevole, guarda James dall’alto, sul palco di ogni più bel festival mondiale, sperando che una creatura così pura e illuminata non si scomponga mai, sorretta dai cori delle anime in pena di cui egli stesso racconta ed a cui allieva i dolori, esaltando l’amarezza del vivere su di un piedistallo di cristallo e cicatrici.