Impure Wilhelmina
Black Honey

2014, Hummus Records
Sludge/Post Metal

Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 09/06/14

Ginevra, Svizzera.

 

Chi ha mai sentito parlare degli Impure Wilhelmina? Nessuno? Comprensibile! La vera gavetta i Nostri l’hanno affrontata nella loro terra d’origine, ed è proprio lì, nei meandri del panorama musicale underground della bella Ginevra, che la gente conosce il loro nome, la loro musica. Consci della nostra non approfondita conoscenza, prima di cimentarci nell’ascolto di questo nuovo “Black Honey”, abbiamo voluto spulciare un po’ nel passato della band, non solo per renderci conto di cosa saremmo poi andati a scrivere, ma anche per capire il motivo di quei sei lunghi anni che separano questo lavoro dai suoi predecessori.

 

Cambi di line-up, fioriture stilistiche e tagli con il passato hanno permesso ai Nostri di arrivare fino a qui, oggi, con un lavoro che segue sì le dritte sludge/post metal del passato ma apporta anche alcune importanti modifiche. Michael Schindl, Diogo Almeida, Sebastien Dutruel, Mario Togni concretizzano su questo “Black Honey” una scelta iniziale, sicuramente forte da mandar giù: niente più scream al microfono, voci pulite all’assalto. Enormi, dunque, le responsabilità che ricadono su Michael Schindl, chitarrista e cantante; e in effetti, mentre le carte si vanno via via svelando a noi durante l’ascolto, i difetti ed i pregi di questo “Black Honey” risultano fin troppo facili da captare, concentrati come sono tutti su di un unico elemento: Schindl, per l'appunto. Il pregio del vocalist è sicuramente quello di prestare un timbro riconoscibile e caldo ad un sound orfano degli scream ("Grand Gendarme" sembra la più lamentosa da questo lato) del passato, cosa che il genere effettivamente un po' richiede. I difetti, ahimè, riguardano proprio l'uso che se ne fa: la voce è instabile, a volte talmente espressiva ("Courageous", "The Enemy") da perdersi nel suo stesso cantato, cosa che influisce su un'intonazione (quindi ancora di più in sede live) non sempre controllata.

 

Il lavoro degli altri strumenti suona, per tutta la durata, massiccio, creativo e ben diviso tra tutti i componenti, quasi a non aver risentito affatto la mancanza dalle scene per ben sei anni. A stonare – permetteteci il facile sarcasmo – è quindi proprio la presenza di un vocalist instabile e poco duttile come Schindl.





01. The Enemy
02. Submersible Words
03. Chest
04. Grand Gendarme
05. Black Horse
06. Joseph
07. Mute
08. Uncomfortable Life
09. Courageous
10. For The Man That I Love
11. God Rules His Empire

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