Witchsorrow
Hexenhammer

2018, Candlelight/Spinefarm Records
Doom Metal

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 18/05/18

Nella letteratura musicale, i meriti della nascita del doom vengono equamente divisi tra i Black Sabbath e i Pentagram: mentre i gruppi degli Eighties si consideravano figli di tali augusti predecessori, gli act del XXI secolo possono, a ragione, vantare padri ben più vicini dal punto di vista cronologico e sonoro. Ascoltando i britannici Witchsorrow, il pensiero corre a briglie sciolte in direzione dei conterranei Electric Wizard e dei finlandesi Reverend Bizarre, dai quali il terzetto dell'Hampshire riprende l'enfasi asfittica e le tematiche occulte per inserirle in un contesto generale che alterna accelerazioni e rallentamenti senza troppo cedere la palma della supremazia al côté pachidermico del genere. Difatti le disparate influenze che valicano i crinali sabbatici di "Hexenhammer" impediscono al lavoro di precipitare nell'abituale stereotipo dell'oscurità declinata attraverso l'esasperata cadenza funebre della sezione ritmica e la messe di riff grassi quanto la stazza di una balena; dopo il discreto esordio eponimo (2010), un catacombale "Good Curse Us" (2012), opera consapevolmente rétro e legata al turgore maligno degli indimenticabili Saint Vitus, e il misantropico "No Light, Only Fire" (2015), l'ultima fatica dei nostri pone parzialmente lo sguardo oltre le colonne d'Ercole dell'armonia del destino, accogliendo una sufficiente e gradita dose di velocità rituale.
 
 
Il disco muove i suoi primi passi caricandosi sulle spalle l'ipnotica intro strumentale "Maleficus", opener cinematografica ispirata al famigerato volume in cui, con dovizia di particolari, si offrivano dettagli riguardo la tortura e l'esecuzione delle streghe. A seguire, la title track annuncia la propria presenza librandosi lugubre e minacciosa, gravida di una pesantezza degna della creatura di Jus Osborn, tuttavia eludendone, con oculata maestria, il soffocamento allucinogeno. Le stratificazioni dei solo del singer Nekroskull, spalmate sull'intero pezzo, permettono numerosi cambiamenti dinamici accompagnati da pastose linee vocali vicine allo stoner e simili a quelle di Lee Dorrian in "The Carnival Bizarre" (1995). Si muta decisamente marcia con "The Devil's Throne", breve e feroce esplosione in stile NWOBHM che consente a David Wilbrhammer di scatenarsi dietro le pelli con una crudeltà quasi primordiale; in "Demon's Mind", invece, le vibrazioni del basso di Emily Witch, ubicato in fondo al nucleo ferroso della Terra, saturano gli spazi occupati dai feedback lancinanti delle sei corde e da una melodia tanto insistente e sinuosa da trascinare il brano ancora una volta nei territori cari a Pagan Altar e Witchfinder General. Se il groove epico di "Eternal" ammicca agli antichi Candlemass, il mid-tempo "The Parish" emigra in atmosfere di torbida psichedelia, laddove la strisciante potenza di "Like Sysiphus", ornata di schegge black, vede il frontman, novello Christopher Lee, galleggiare, come folle predicatore da B-movie orrorifico, nei fiumi di incenso della Santa Inquisizione.
 
 
Prodotto in maniera impeccabile dal fido Chris Fielding dei Conan e impreziosito da una visionaria cover caprina opera del nostro Paolo Girardi, "Hexenhammer" rappresenta l'apice creativo dei Witchsorrow, band che, nel corso degli anni, ha saputo gradualmente reinventare la tradizione utilizzando i mezzi e la sensibilità contemporanei: derivativi, ma di talento sopraffino.




01. Maleficus
02. Hexenhammer
03. The Devil's Throne
04. Demons Of The Mind
05. Eternal
06. The Parish
07. Like Sysiphus

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