A partire dalla opening track "Buried Dreams", passando per la travolgente "Carnal Forge", il singolo "No Love Lost" e, soprattutto, la perfetta title track che, a venticinque anni da quella prima volta in cui il mio compagno di banco al liceo, che ascoltava i No FX e simili, me la fece conoscere dalle sue cuffiette dicendomi: «A te che piace 'sta roba: non male questi, vero?» , non smette di far venire i brividi ad ogni ascolto. Altri capolavori si susseguono senza tregua: "This Mortal Coil" in cui si realizza la perfetta fusione tra NWOBHM in stile Maiden e metal estremo, da cui scaturirà (insieme agli ultimi album dei mai abbastanza compianti Death di Chuck Shuldiner) un nuovo genere: il melodic death metal; "Blind Bleeding The Blind", che fu definita da un critico dell'epoca "il cancan ballato nelle acciaierie di Dracula"; "Arbeit Macht Fleisch", nuova tappa della crociata anticarne e anticapitalista della band più ferocemente vegetariana della storia del rock; sul finale, la vivisezionante "Doctrinal Expletives" e "Death Certificate", in ogni senso definitiva, suggellano il tutto con una lapide. Alcuni gridarono al tradimento («cosa sono questi assoli rockblues col whawha? E il flanger? "Love" nel titolo di un brano? Stacchi lenti in levare? E i riverberi, che c'entrano? ») ma i più fiutarono il capolavoro. Feroce, ispirato, ironico, romantico (a modo suo), alleggerito dell'infrastruttura grindcore, fatta di tappeti di blastbeats, ridotti qui a pochi essenziali interventi, bifronte come Giano nel suo pendere ora verso il metal classico, ora verso lidi più estremi, "Heartwork" si impone nella sua bellezza come una pietra miliare e ridisegna i confini dei generi allora esistenti. Altra interessante novità del disco: i Carcass non parlano più di autopsie, medici legali, canali atrabiliari, sieri corporei putrefatti e simili, per cui si erano fatti conoscere e amare e per cui certuni li ritenevano studenti di medicina (in realtà, quasi tutti iscritti all'Accademia d'Arte...), ma d'odio, amore, politica e simili. Come gli U2.
Quasi dimenticavo: artwork di H. R. Giger.
Un disco dunque, che segna uno spartiacque nel metal estremo e destinato, come il quasi coevo "Wolverine Blues" degli Entombed, a influenzare decine di band in giro per il mondo. Qualche esempio: sarebbero mai esistiti gli In Flames? Avrebbero preso quella direzione i My Dying Bride? E gli Amorphis? E i Children of Bodom? Meditate, gente...
Non fummo gli unici ad esserne scossi: fu così che la Sony music iniziò a corteggiare la band (all'epoca sotto contratto con la Earache Records) per averla nella propria scuderia ed allora, come dir si suole, iniziarono i problemi: sì, perchè se da un lato i quattro metallers britannici si montarono (anche giustamente) un po' la testa, dall'altro la Sony esigeva che i suoi puledri producessero un album accattivante e paraculo. Fu subito crisi. Si iniziò a parlare di scioglimento. La pubblicazione del nuovo album veniva ora annunciata, ora smentita. Alcuni membri abbandonarono. Ci vollero quattro anni perchè la band - sballottata tra la Earache e la Sony - facesse uscire un disco che non sarebbe stato all'altezza delle aspettative, e l'ora magica passò: i Carcass, accusati di tradimento da alcuni con "Heartwork", ci provarono col controverso "Swan Song" e delusero un po' tutti. Poco dopo la band si smaterializzò in defezioni (Amott andò a fondare gli Arch Enemy e gli Spiritual Beggars) e side-project (gli sfortunati Black Star, antesignani del genere rock stoner), il batterista Ken Owen fu colpito da emorragia cerebrale e, poco a poco, i Carcass si dissolsero nel nulla per circa un ventennio. Lasciandoci però un disco così bello, fresco e ricco da influenzare ancora il recente (si fa per dire: 2013) album di ritorno "Surgical Steel" che, se non sembra il seguito ideale di "Heartwork", poco ci manca: purtroppo sono passati più di vent'anni e l'effetto sorpresa si è perso. Ma non la classe. Ineludibile.