C'è una nuova Superstar nel gruppo: si chiama Joe Barresi e agisce grazie alla benedizione di Slipknot, QOTSA, Soundgarden e tanti altri. È una sorta di profeta dell'Heavy il responsabile della svolta alternativa della formazione di Göteborg. Jocke, Adde, Vic e Martin hanno i nuovi brani pronti da quasi un anno, ma le tappe europee e le incursioni negli States ritardano la pubblicazione di "HCSS", che esce frettolosamente e non sarà mai ricordato come uno degli album migliori della travolgente carriera degli Hardcore Superstar, concetto che assume un senso solo se traslato di forza su centinaia di palchi, o se inserito in una biografia che anno dopo anno inizia a diventare importante.
Dopo un sold out al Whisky a Go Go, per il decimo album in meno di vent'anni si ritorna tutti in casa Gain Records: si ritorna anche alle origini della band, alle demo del '94, a quell'approccio provinciale e sincero che gli sfarzi Chic-Sleaze dell'ultimo periodo avevano affossato, facendo pensare al tradimento dell'attitudine degli esordi. Joe Barresi mette in luce i bassi, minimizza i cori, fa emergere il Grunge che ha nel sangue, e a finire nel dimenticatoio è "C'mon Take On Me" e i conseguenti inni alla distruzione ricreativa. Una metamorfosi che non si ripete dal vivo, ma che in studio è forte sinonimo di maturità e disposizione al mutamento, ad affrontare un ruolo di riferimento con una personalità leale.
"HCSS", nella sua esplosività d'obbligo e spontanea, è testualmente cupo, riflessivo, uno stacco generazionale carico di rimorso e rassegnazione. Un amaro dopo una birra. L'ennesima firma con cui i quattro marchiano il muro sporco di un backstage, un album voluto radio-friendly, così che possa contaminare e aprire le menti di chi si fa facilmente accecare da una tendenza, da un istinto che è solo scena e non vera emozione.