God Is An Astronaut
Epitaph

2018, Napalm Records
Post Rock

I God Is An Astronaut cambiano veste, le emozioni donate dalla loro musica rimangono invariate.
Recensione di Mattia Schiavone - Pubblicata in data: 21/04/18

Proprio lo scorso anno i God Is An Astronaut hanno celebrato i quindici anni di carriera con un fantastico tour che ha ripercorso tutte le loro pubblicazioni. Rinomati ormai come una delle maggiori realtà post rock, gli irlandesi non hanno mai deluso le aspettative, andando sempre sul sicuro, immergendo l'ascoltatore in una calda e confortevole realtà parallela. Arriva però un momento in cui diventa irrefrenabile il bisogno di fare un passo avanti e lasciarsi alle spalle il passato, anche con il rischio di scontentare una fetta di pubblico. In modo del tutto inatteso, la band ha deciso di abbandonare quasi totalmente le atmosfere più vellutate che hanno fatto la fortuna di album come "All Is Violent, All Is Bright" o il più recente "Helios|Erebus", scoprendo, nel nuovo lavoro "Epitaph", una vena dark che in pochi si sarebbero aspettati.

 

Sarebbe errato parlare di una band totalmente irriconoscibile in termini di suoni e melodie, ma, in questa ultima pubblicazione, moltissimi punti fermi della musica espressa in passato dai God Is An Astronaut vengono completamente rivisti, dando vita ad un lavoro più d’atmosfera e complesso dei precedenti. Ad un primo ascolto le tracce sono infatti meno immediate e più difficili da assimilare, mentre il minutaggio medio si alza di molto. Quasi del tutto assenti sono i tipici climax di luci e colori, sostituiti da epopee in bianco e nero in cui gli spigoli non vengono certamente arrotondati. Il sentimento trainante di "Epitaph" è una dolce ma fredda malinconia, che avvolge completamente l'ascoltatore per tutta la durata dell'album. Gli spiragli di positività sono appena accennati e si riducono ad un paio di pezzi, mentre il resto del disco viene permeato da atmosfere ambient e a tratti doom. Le novità precedentemente illustrate sono riscontrabili fin dalla title track posta in apertura. Dopo una lunga introduzione scolpita dal piano, si fa strada, in mezzo ad atmosfere inquietanti, un riff gelido sul quale viene costruito il brano. Sulla stessa lunghezza d'onda, ma scandita da un ritmo più sostenuto è "Mortal Coil", mente leggere reminiscenze dei lavori passati possono essere ascoltate invece in "Winter Dusk/Awakening" (descritta perfettamente dal titolo) e soprattutto in "Seance Room", favoloso pezzo in crescendo che si posiziona tra i migliori del lotto. La successiva "Komorebi" risulta invece caratterizzata da una base ambient e raggiunge elevatissimi picchi di emozionalità, pur essendo quasi totalmente spoglia. A chiudere il lavoro sono invece "Medea", che riprende i concetti espressi nei primi episodi dell'album e la tragica e delicata "Oisín", dedicata al cugino di Torsten e Niels Kinsella, scomparso all'età di sette anni.

 

Anche in una veste rinnovata, i God Is An Astronaut continuano a convincere. "Epitaph", pur distaccandosi da tutta la produzione pregressa della band, in accosta ai loro migliori lavori in termini qualitativi. La musica è intrisa, come sempre, di una fortissima componente emotiva, incapsulata sempre nel giusto modo, a prescindere dalle influenze incorporate. Dopo 15 anni, questo album inaugura un nuovo stimolante percorso da intraprendere per il terzetto, che ha sicuramente davanti a sé almeno altri tre lustri di vittorie e successi. Attendiamo con ansia le tre date italiane per sentire come saranno proposte dal vivo questi nuovi brani, confidando nella loro capacità di creare atmosfere uniche.





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