Immaginatevi il Nick Cave di "Your Funeral, My Trial" non prendere la decisione di declinarsi all'oscuro country blues di narrativa costituzione quanto, piuttosto, al wave pop di luminosa ispirazione, con la precisa volontà di evitare le controverse figure che abitano la Jubilee Street ed immergersi fino al midollo in un vortice di neo-romanticismo alla Patrick Wolf. Se riuscite a raffigurare la scena, avrete praticamente già scritto da soli la recensione di questo "Love In Arms", esordio del giovane cantautore inglese Gabriel Bruce.
Dotato di una voce vibrante e cavernosa come il buon Cave, ma con una verve giovanile ed una tastiera killer stile primo Martin Gore a manovrare la penna, il Nostro si presenta con un inciso vibrante ed energico, intenso soprattutto nei momenti maggiormente uptempo, quelli dedicati al calypso rock ("Cars Not Leaving"), alla wave pop più becera ed irresistibilmente danzereccia ("Greedy Little Heart") o alla festosità degli ottoni in destrutturazione elettronica ("Perfect Weather"). Al di là del trittico di singoli di cui era quantomeno doverosa la citazione, il buon Gabriel - al netto di divagazioni garage rock ("Honey Honey Honey") e feroci conclusioni epiche ("Sermon Of The Mount") - ama soprattutto concedersi le ballad, siano esse bombastiche per organo e corale ("El Musgo", "If Only In Words") che più intimiste per il solo piano voce, con tanto di classico groppo dell'emozione che assale a seguito ("All That I Have", la più travolgente del lotto).
Proprio in questi momenti di raccoglimento, emerge se vogliamo l'ingenuità dell'esordio, quel tratto ancora forse troppo grossolano nella scrittura che non consente all'artista di mantenere ferma l'attenzione dell'ascoltatore grazie ad evitabili, quanto pedanti, facilonerie ("Sleep Paralysis", ad esempio). Pur tuttavia, a fronte di tutti gli elementi di cui questo disco è ripieno, è sin troppo facile cedere alle lusinghe dell'entusiasmo nell'affermare, con discreta convinzione, che ci troviamo di fronte ad una figura artistica estremamente interessante, di quelle da potenziali soddisfazioni elargite in futuro a profusione. Una piccola gemma indie ancora nascosta, ma il cui splendore rischia di abbagliare molti più occhi di quanto sia lecito aspettarsi.
Ed è troppo prematuro e sconsiderato scrivere che Patrick Wolf ha in Gabriel Bruce un erede spirituale, anche a fronte del messaggio sonoro a tratti estremamente opposto rispetto al Biondo Lupo; ciononostante, la frase si è scritta praticamente da sola, e varrà pur qualcosa.