Devin Townsend
Empath

2019, Inside Out Music
Avantgarde Metal

Che lo si ami o lo si detesti, non si può dire che Devin Townsend non progetti le cose in grande stile.
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 29/03/19

In questo come in molti altri casi della vita, il mondo può dividersi in due: quelli che amano Devin Garrett Townsend e che si scodellano con gioia ognuna delle sue numerosissime uscite, financo le più bizzarre ed estemporanee, e quelli che (neppure troppo) cordialmente lo detestano e schifano come il non plusultra del kitsch fatto metal. Chiaro che chi appartiene alla seconda metà del mondo avrà poco da leggere nelle righe seguenti e può anche smettere qui. Per gli altri, oh carissimi, eccovi la storia di come il buon Devin voli sempre più in alto nei cieli delle sue personalissime sperimentazioni.


Riassumiamo per i non avvertiti: Devin esordisce nei primi Novanta con album che stravolgono qualsiasi canone e abbattono come niente le barriere tra elettronica, metal estremo e - poco dopo con "Synchestra" - classica e pop. Nel frattempo, con gli Strapping Young Lad fa sognare i metallari di mezzo mondo e sforna classici come "Love?". Negli ultimi due decenni la sua vulcanica creatività, ai limiti della dissenteria, ha prodotto più di venti pubblicazioni, spaziando sempre più ed ampliando come pochi altri il ventaglio stilistico. Ultimamente lo abbiamo visto coronare con sette straordinari lavori il progetto che ha nome Devin Townsend Project, ma dal 2018, in diverse interviste Townsend aveva dichiarato di volere interrompere per il momento l'esperienza del Project e, dopo i fasti del "Retinal Circus" , dedicarsi di nuovo ad un progetto solista, solo a suo nome, di cui sia interamente responsabile e di cui ha già pronto materiale per - dice - quattro album interi. "Empath" costituisce l'esordio di questo annunciato manipolo.


Con questo lavoro, sembra intenzionato a vedere cosa succede quando tutti gli stili sorti dai suoi attuali interessi musicali confluiscono in un unico luogo. Quest'album percorre sonorità aperte, coinvolgenti e vaste. Meglio avvicinarsi tenendo ben presente la lunga storia di ciò che rende heavy la musica heavy. Chi conosce Townsend, sa che i suoi entusiasmi nel presentare i nuovi lavori sono spesso contraddetti da successive dichiarazioni - anche a distanza di anni - che li denigrano e criticano. Ma per ora, il buon Devin non ha che parole entusiaste per la svolta della sua carriera.
Ascoltare "Empath" è certamente un esperienza sonica di altissimo livello, essendo un lavoro in grado di spaziare davvero da un genere all'altro con una disinvoltura e una capacità di tenere insieme tutto in una visione coerente che ha del miracoloso. Da cosa iniziare? Magari dalle contaminazioni tra sinfonica, pop e metal di "Why?", oppure dalla vasta emozionante complessità di "Singularity"; o dalla colonna sonora hollywoodiana in stile Bernard Hermann o John Williams della fiabesca "Requiem"; o ancora da "Borderlands", che prende le mosse da una ballatina pop alla Bruno Mars, volge bruscamente al prog, si metallizza e tinge di cori angelici, poi ci proietta nel fondo di una barriera corallina new age? O magari da "Genesis" che ripercorre in un unica suite tutti gli stili che Devin ha saputo far confluire in "Empath". Dicesi imbarazzo della scelta.
Lo scioglimento del Project per quanto tutt'altro che pacifico per Devin, lo capiamo ascoltando il lavoro, produce un ulteriore superamento: quello imposto dai limiti della rock band.


Per produrre questo lavoro infatti, Devin ha deciso - dopo aver contattato il discepolo di Frank Zappa Mike Keneally per coordinare il progetto - di avvalersi di diversi specialisti del medesimo strumento. Prendiamo la batteria: c'è Morgan Agren per le parti di improvvisazione più jazzate; c'è Anup Sastry per le parti metal prog e Samus Paulicelli per quelle schiettamente metal. Reso l'idea? Lecito domandarsi come sarà gestito il liveset ma può darsi che si riveli meno impossibile di quanto sembri. Il punto è: che si fa quando gli strumentisti diventano un paletto? lo si estirpa. Roba che non si faceva più nel rock da "Bitches Brew" di Miles Davis, e sappiamo chi stiamo scomodando. Imponente anche il lavoro di programming. Non si elencano qui i numerosi ospiti (ricordiamo almeno il vecchio sodale Steve Vai, la cui chitarra si incastona in "Singularity"). Per chi non fosse ancora sazio, la Limited Edition comprende un bonus disc con oltre sessanta minuti di musica inedita, in versione demo certo, ma di un qualità tale da rivaleggiare con produzioni a tutto tondo. La sua è ancora e sempre opera di sintesi da diverse istanze - metal, pop, jazz, new age, classica, prog -  che, al loro culmine, ambiscono ad unire i contrari (mostri ed animali che convivono insieme, dice lo stesso Devin in uno dei video introduttivi all'album sul suo sito web), obiettivo ben comprensibile per un artista da sempre affetto da sindrome bipolare. Che dopo tanti progetti, collaborazioni, produzioni, camei, split abbia deciso finalmente cosa vuole fare da grande? Perché quando Devin fa qualcosa - amatelo o odiatelo - la fa in grande.





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