Dream Theater
Distance Over Time

2019, InsideOut Music
Prog Metal

La nave dei Dream Theater ritrova la sua Stella Polare con al timone un irriducibile John Petrucci
Recensione di Simone Zangarelli - Pubblicata in data: 19/02/19

Il vento torna a soffiare a favore dei Dream Theater. Dopo il precedente "The Astonishing", stroncato da parte del pubblico e della critica, il passaggio all'etichetta InsideOut Music coincide con la pubblicazione del quattordicesimo disco in studio, "Distance Over Time". Così la band newyorchese recupera la rotta che sembra aver smarrito ormai da un paio d'album a questa parte: eccessi di virtuosismo, brani inconsistenti e spiazzanti tentativi di sperimentazione sono lasciati alle spalle a favore di una ritrovata complicità fra gli stessi membri della band. Il raduno dei Cinque a Monticello, NY, per quattro mesi di full immersion creativa dà vita ad un disco meno cervellotico dei precedenti, più spontaneo e per questo fra i lavori migliori dai tempi di "Black Clouds & Silver Linings" . "Distance Over Time" attinge dallo stile degli esordi e lo attualizza, ne fa il punto di riferimento riadattato grazie alla nuova alchimia interna che sancisce trent'anni di onorata carriera, fra momenti altissimi e qualche smarrimento (uno su tutti, l'abbandono di Portnoy). La testimonianza di questo rapporto tra vecchio e nuovo è esplicitata nella copertina: un teschio umano su una mano robotica sembra indicare una continuità tra passato e futuro ma anche una riflessione su ciò che era prima e la strada intrapresa nel presente, essenza del genere chiamato "progressive". Altro importante tratto caratteristico è il contributo di ogni membro alla stesura dei testi e per la prima volta anche Mangini imprime la sua impronta, ma nonostante questa varietà la coesione interna nel disco rimane salda. Si riconferma la centralità di John Petrucci come timoniere del progetto e protagonista indiscusso lungo tutto l'LP, stavolta privo di suite interminabili e vacue, mentre si distingue per l'accessibilità e la sprezzatura.

 

Il primo singolo è anche l'apripista del disco. "Untethered Angel" colpisce per l'attacco esplosivo, data da ritmiche di chitarra solide e un rinnovato groove di basso e batteria che farà sicuramente felici i fan di vecchia data. Pur non essendo uno dei brani più memorabili del disco, il singolo presenta delle chicche: i controtempi di Mangini alla batteria e il botta e risposta Petrucci-Rudess durante l'assolo. Purtroppo gli effetti e i filtri sulla voce, nel tentativo di arginare le carenze di Labrie, ultimamente sottotono, si rivelano una costante lungo tutto il disco. Appare chiaro che i Dream Theater navigano in acque sicure: sono tornati a ciò che riesce loro meglio, sono più moderati e concreti, non hanno bisogno di "mostrare i muscoli" per parlare al pubblico. Si prosegue con "Paralyzed", pezzo tra i più melodiosi ma meno interessante già dopo pochi ascolti: l'intro tenebrosa si sviluppa durante la strofa per poi calare di intensità nel ritornello. Tutt'altra storia per una delle punte di diamante del disco, "Fall Into The Light". Potente nel riff iniziale, (quasi un omaggio ai primi Metallica) che sembra riprendere le recenti sperimentazioni in chiave djent metal contestualizzandole, il pezzo si trasforma in power ballad durante il ritornello e lo special semi-acustico. Dall'assolo di organo Hammond, al finale incalzante, fino alle variazioni nelle parti di batteria, sono tanti i pregi di questi sette minuti, pensati per essere una sorta di brano-manifesto di Distance Over Time, in cui non mancano vette di forte emozione. 

 

E ancora in "Barstool Warrior" sembra che Rudess si rifaccia alle sonorità del capolavoro "Images And Words" durante l'intro. Il crescendo e gli stacchi complicano l'esecuzione, ma un distensivo fraseggio di Petrucci riporta il pezzo su un piano più intellegibile. Si nota come i cinque musicisti si concentrino sull'espressività piuttosto che nello sfoggio tecnico ed il risultato è totalmente apprezzabile, non fosse per la parte vocale che sul finale non regge il livello del crescendo. Raffinatezza e vigore in "Room 137", il primo testo scritto da Mangini per i Dream Theater, la fanno da padroni. Ottima la gestione del distorsore fra assoli e accompagnamento, mentre i cambi di tempo sono tra i più impressionanti. Fuoco alle polveri grazie al talento di Myung nella martellante intro di "S2N", di carattere estremamente tecnico e vicino alla nuova scuola di metal estremo (Gojira e Tesseract). Si tratta del pezzo che di sicuro accontenterà i fan puristi del progressive metal. L'incastro di ogni strumento rasenta la perfezione, gli assoli sono elettrizzanti e ben dosati, e le atmosfere richiamano i primi album. Grande attesa per "At Wit's End", il brano più lungo del disco, che affronta il tema delle conseguenze vissute dalle donne vittime di abusi. Quasi cinque minuti di possente groove catturano l'attenzione senza lasciare fiato all'ascoltatore, ma a metà cambia atmosfera, rallentando di colpo. Di nuovo un emozionante crescendo in cui Mangini suona in controtempo sul ride fino ad arrivare alle frasi di Petrucci, doppiate dalla voce di Labrie, mentre il pianoforte sullo sfondo conferma l'eleganza compositiva del gruppo. Ancora la classe di Rudess emerge nell'accompagnamento di "Out Of Reach", unica ballata a tutti gli effetti dell'album. Non un capolavoro, ma funzionale alla rigenerazione delle orecchie in attesa del gran finale.
L'altro apice di Distance Over Time è la maestosa "Pale Blue Dot", una composizione solenne dedicata allo scrittore di fantascienza Carl Sagan, romanziere ma soprattutto astronomo tra i più eminenti del secolo scorso. Il brano riprende la lezione dello scienzato per lanciare un messaggio chiaro: prendersi cura dei nostri mari per salvaguardare il futuro del pianeta. Gli aspetti migliori del pezzo sono i pattern di batteria sostenuti dalla tecnica selvaggia di Myung. La complessità giunge al suo acme ma senza sacrificare il piacere dell'ascolto, proponendosi come un incontro tra il passato e il futuro della band, tra i fasti di un tempo che fu e le nuove sonorità hard & heavy. Il pezzo più godibile è forse la traccia bonus, "Viper King", uno sfoggio di creativtà da parte di Petrucci che si diverte a sperimentare alla Steve Vai durante l'assolo, tecnica resa possibile, oltre che dal suo straordinario talento, dall'effettistica di qualità e all'utilizzo di armonici. Il lato più insolito e curioso della band è espresso proprio nella traccia finale.

 

"Distance Over Time" sembra un disco pensato per il live (al contrario di "The Astonishing"), senza la pretesa di essere a tutti i costi una pietra miliare del progressive metal ma puntando a essere diretto e concreto. Forse i Dream Theater sentivano di doversi riscattare e lo hanno fatto alle loro condizioni, senza strafare e senza perdersi in inutili voli pindarici. Tutto ciò lascia presagire che si tratti di un periodo musicalmente favorevole, sperando che il connubio con la Sony continui ad alimentare lo slancio creativo verso vette sempre più alte.
La nave dei DT ritrova la Stella Polare e l'ago della bussola si è stabilizzato sul nord, indicando la via da seguire. Almeno fino alla comparsa di rotte migliori.





01. Untethered Angel
02. Paralyzed
03. Fall Into The Light
04. Barstool Warrior
05. Room 137
06. S2N
07. At Wit's End
08. Out Of Reach
09. Pale Blue Dot
10. Viper King (Bonus Track)

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool