A chiunque possegga una cultura perlomeno superficiale del black metal, il nome Darkthrone non apparirà del tutto ignoto: storico prime mover della scena scandinava, l'act norvegese rappresenta ancora oggi un esempio da seguire per tutte quelle band che intendono ergersi a tedofori della fiamma oscura. Un modello old school cui si allineò, sin da quando intraprese la propria avventura solista nel 2004, Thomas Eriksen: al principio i Mork venivano considerati dal mastermind di Bergen una sorta di side-project, anche dopo l'uscita dei full-length "Isebakke" e "Den Vandrende Skygge". Il passaggio alla Peaceville Records (tu quoque!) e la pubblicazione di "Eremittens Dal" due anni orsono, accesero i riflettori dell'underground su un moniker dal notevole potenziale. Il nuovo album conferma in modo soddisfacente come le aspettative covate dagli appassionati e dallo stesso Fenriz non fossero così malriposte: più vario e meno monodirezionale del predecessore, "Det Svarte Juv" suona ferino, a tratti gelido e terribile, ma, al medesimo istante, rivela accenti di luttuosa mestizia, conseguenza del disagio esistenziale patito, nell'ultimo periodo, dal suo unico compositore.
Se l'opus anteriore esponeva in bella vista un paio di ospiti noti, ovvero
Silenoz dei
Dimmu Borgir e Seidemann dei 1349, a questo giro il nostro preferisce lavorare in modo discreto, confidando maggiormente nelle capacità dei musicisti che lo accompagnano solitamente in sede live: così, tra brusche impennate di violenza, passaggi doom e tumultuosi
mid-tempo, i brani trasudano atmosfere che, respirate appieno, potrebbero generare stalagmiti nei polmoni. Le capriole di
blastbeat poste all'inizio e alla fine di "Mørkeleggelse" fungono da sentinelle attorno al crepaccio DSBM che si apre a metà traccia, "Da Himmelen Falt" sprigiona decadenza in
lo-fi, la gregoriana "På Tvers Av Tidene" unisce
Behemoth,
Candlemass e
Satyricon in un abbraccio mortale.
E mentre la brutalità inceneritrice di "I Flammens Favn" e "Skarpretterens Øks" non impedisce a un affusolato drappo epico di avvolgere i pezzi, è nell'onomatopea gutturale di "Siste Reis" che le orde sataniche riconoscono il richiamo del loro vero Signore. Non mancano, poi, momenti di marziale pagan wave ("Den Utstøtte"), cenni di pacato black'n'roll ("Den Kalde Blodsvei"), fangosi inabissamenti semistrumentali ("Karantene", "Det Svarte Juv"); su tutto, però, svetta la voce di Eriksen, tragica ambasciatrice d'inquietudine in un crematorio gremito di odio e disperazione.
"Det Svarte Juv" testimonia la decisa crescita di un artista che, pur ligio agli archetipi originari, sembra destinato, in futuro, a indossare i paramenti sacri del custode del credo nero. Nel XXI secolo il diavolo veste Mork.