Deadlock
The Arsonist

2013, Napalm Records
Death Metal

Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 17/08/13

La strada dei tedeschi Deadlock non è mai stata costellata di capolavori, questo è un dato di fatto. Con “Manifesto” e “Wolves” qualche spunto interessante si era fatto tangibile, ma niente che portasse la band ad un livello superiore. “Bizarro World”, dal canto suo, seguiva la strada dei suoi predecessori - il che non rappresenta certo un pregio. Ora che abbiamo davanti il sesto album The Arsonist la nostra fiducia è scomodamente riposta nella speranza della “svolta del musicista” e in parte destinata ad uno spudorato tradimento. Se è vero che i problemi non son mancati (tra parecchi cambi di line-up, penne stilografice esibite negli studi della Napalm Records e l’inclusione di nuovi membri nel proprio tour bus, i Nostri non sembrano essersela certo “spassata” di recente), tutto ciò non crea scusanti, non stavolta, non con un traguardo come il sesto album.


Non ci dispiace affatto discostarci dai vari feedback targati Sonic Syndicate o Heaven Shall Burn, strategicamente distribuiti tra i vari teaser dell’album, dato che “The Arsonist” ha l'aria di essere la “goccia che fa traboccare il vaso” o, se volete una schiettezza brutale, un buco nell’acqua. Tanto per cominciare la chiarezza di questo concept è pari a quella di “Bizarro World”: non pervenuta (bizzarro, per l'appunto). Se il lavoro fatto sul comparto chitarristico presenta qualche nuova idea di base, poi, è tutto il resto a farne le spese. I duetti “brutali” tra John Gahlert e Sabine Scherer non attaccano più e il timbro limpido e la discreta intonazione di quest'ultima (riscontrabile anche in sede live) vengono accantonati in un angolo a macinare ritornelli privi di mordente o qualsivoglia ispirazione (“Dead City Sleepers, la stessa title-track; si salva giusto “Hurt”, un crescendo dal sapore simil-djent). Neanche il singolo “I’m Gone” riesce a farsi ascoltare con la dovuta attenzione.


Qualcosa, ad onor del vero, si salva verso la fine... L’introduzione massiccia di cori in sottofondo, una visione più espressiva nelle“unclean vocals” (“The Final Storm”) e qualche virata violinistica ben riuscita ci accompagnano fino alla cover della celebre canzone anni 80’ “Smalltown Boy”, che però non sembra avere niente a che con le altre tracce. È proprio la finale “My Pain” a portarci ad una considerazione: una canzone che non si ostina a dipingersi “brutale” o disperatamente alla ricerca del ritornello perfetto può essere la vera via o meglio quella giusta, percorribile dai Nostri?


Sarebbe opportuno concentrarsi magari su un refrain, piuttosto che cercarne molteplici, affidarsi ai punti di forza senza renderli imbarazzanti e magari allontanare una brutalità oramai inefficace seguendo una strada meno forzata e più soft, vista anche la buona riuscita delle ultime tracce. Le nostre sono solo supposizioni, ben diverse dalla realtà... La realtà, ora come ora, è meglio non affrontarla.





01. The Great Pretender
02. I’m Gone
03. Dead City Sleepers
04. The Arsonist
05. Darkness Divine
06. As We Come Undone
07. Hurt
08. The Final Storm
09. Small Town Boy (Bronski Beat Cover)
10. My Pain

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