Chthonic
Bú-Tik

2013, Spinefarm Records
Black Metal

Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 17/06/13

Immense e incontaminate foreste verdi, imponenti alberi secolari: sono queste le immagini che si presentano tutt’intorno durante l’ascolto del settimo album dei Chthonic. Una palpabile e rigenerante calma interiore, contrastata da un forte impatto strumentale. Già dal non lontano – musicalmente parlando – “Takasago Army” i cinque musicisti di Taipei mostrano interessanti spunti nel loro sound. Ora, arrivati a questo “Bú-Tik”, i punti in comune con quanto fatto finora diventano lampanti, ma non limitano l’evoluzione della band, la cui anima appare indissolubilmente legata alla terra natia, Taiwan. Una terra che vorrebbe respirare una libertà che le viene negata e che spinge i Nostri a farsi ambasciatori, anche a livello politico, di questi problemi, attraverso testi che sanno parlare tanto di guerre e perfidi conquistatori quanto di leggende taiwanesi di ieri e di oggi.

Il sound dei Chthonic porta in primo piano un symphonic black metal accompagnato da pompose ma mai esagerate orchestrazioni. L’epicità dei Nostri sta nel saper dosare e intrecciare tutto questo con vari strumenti folkloristici (non è raro imbattersi in gong, tamburi, strumenti tradizionali tibetani, flauti in bambù, fino all’ormai non più sconosciuto erhu, lontano parente del nostro violino) ottenendo una forma di folk tanto epico quanto metal-oriented, che deve vedersela vis à vis con la ferocia del blast beat.

L’album inizia con “Arising Armament”, che non è affatto la solita intro creata con i rimasugli pentagrammatici della lavorazione dell’album, bensì un richiamo – sia questo l’ora della preghiera avvolta dai fiori di loto in un antico monastero nelle montagne taiwanesi o un sonoro avviso che preannuncia una guerra, a voi la scelta. Le intelaiature orchestrali dalla successiva “Supreme Pain For The Tyrant” non cercano di spiccare a tutti i costi, ma reggono e impreziosiscono il brano; arrivati a questo punto ci troviamo davanti l’affascinante ed allo stesso tempo tetra “Next Republic” (accompagnata dallo spoken-word iniziale del rivoluzionario Su Beng). L’aggraziato eco dell’erhu risuona nelle nostre orecchie all’apertura di “Rage Of My Sword” ed è davvero una sorpresa nonché un piacere ascoltare i brani che vedono la bassista Doris Yeh in veste di backing vocalist e corista (andate a sentirvi la title-track). Buona anche la prestazione del chitarrista Jesse Liu nell’accompagnare alla voce il cantante Freddy nella bombastica e stregata dall’erhu “Set Fire To The Island” (traccia interamente in lingua madre). Mentre la lunga "Defenders of Bú-Tik Palace", com’è consuetudine in questo genere di lavori, non è una traccia particolarmente brillante o emozionante, bensì un riassunto delle varie anime del disco.

Sull’album incombe l’ombra del palazzo di Bú-Tik, che accolse tra le proprie mura il massacro del febbraio del 1947. In esso risuonano la tragedia e le lacrime di un popolo che i Nostri riscattano attraverso un tributo musicale personale e interessante.



01. Arising Armament
02. Supreme Pain For The Tyrant
03. Sail Into The Sunset’s Fire
04. Next Republic
05. Rage Of My Sword
06. Between Silence And Death
07. Resurrection Pyre
08. Set Fire To The Island
09. Defenders Of Bú-Tik Palace
10. Undying Rearmament

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