Cannibal Corpse
A Skeletal Domain

2014, Metal Blade Records
Death Metal

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 09/09/14

Sembra paradossale, ma arrivati all’ultimo quarto del 2014, per ascoltare ancora del vero e puro death metal di qualità, senza influenze strane, senza velleità prog, senza breakdown e divagazioni “djent” (qualsiasi cosa voglia dire), senza pacchiane orchestrazioni, di quello dritto per dritto, tecnico ma riconoscibile al primo impatto, da ascoltare col giusto “distacco”, bisogna ancora affidarsi alla vecchia guardia, nel caso specifico gli immortali Cannibal Corpse.

Che il death metal sia un genere poco di moda tra le nuove ossute leve è noto, tocca dunque a questi cinque bestioni ultraquarantenni (e tutto il corollario di band satelliti) instillarci periodicamente sane dosi di brutalità, la tredicesima in carriera, tanto meglio se di una qualità che non riconoscevamo alla band di Buffalo da diverso tempo. Sì, possiamo finalmente dirlo, l’onda lunga del fenomenale “Kill” è finita, ci sono voluti due album non indimenticabili, ma evidentemente anche in una formazione che fa della coerenza stilistica il proprio credo, c’era bisogno di una ventata di freschezza. Parliamoci chiaro, “A Skeletal Domain” è un disco dei Cannibal Corpse in piena regola in cui al solito non sono contemplati stravolgimenti, ma giusto quei piccoli determinanti cambiamenti utili per donare una nuova luce al nuovo album di Webster e compagni.

Per prima cosa registriamo un cambiamento dei suoni, abbandonando Rutan e suoi Mana Studios per affidarsi alle mani di Mark Lewis. Risultato? Un rinvigorimento generale davvero riuscito, donando la giusta dose di modernità agli strumenti senza precludere la ruvidezza della registrazione. Un elemento che sarebbe passato in secondo piano se non ci fosse stato un innalzamento della qualità media del songwiriting, molto più oscuro e caotico rispetto al recente passato (a memoria non ricordiamo un Mazurkiewicz in blast beat così veloci e incisivi), coi consueti stacchi da manuale e ripartenze da farvi svitare il cranio dal collo. Merito del lavoro del grandissimo Pat O’Brien (autore della maggior parte dei brani) e della sua influenza thrash, nascosta ma non troppo lungo la tracklist, che dona il giusto tiro a un album che vede i Cannibal Corpse ritornare in una forma eccellente.

Un album solido come il granito, godibile sin dal primo ascolto, colpendovi immediatamente come un martello in pieno volto, ma ancor più sul lungo periodo, rivelando le solite chicche, come la complessità del riffing e raffinatezze ritmiche varie, regalandoci una tracklist varia, in cui non mancano episodi che entraranno ben presto nei recenti classici della band (vedi ad esempio “Kill Or Become”, la titletrack, o “The Murderer’s Pact”, ma la lista potrebbe essere più lunga). L’esempio vivente che con la giusta dose di esperienza e capacità, bastano pochi elementi al punto giusto per mettersi in tasca la stragrande maggioranza del metal estremo prodotto nei mesi passati.



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