È un fatto: pochissime band hanno avuto un’importanza storica paragonabile a quella degli immensi Black Sabbath, seminali per la nascita di vari generi e sottogeneri del rock più duro. A questo dato, però, urge aggiungerne un altro: pochi hanno saputo rinnovarsi e creare dischi sempre pregevoli, anche se non in tutti i casi premiati dal mercato, quanto gli inaffondabili Black Sabbath. "Tyr" è sicuramente uno dei più riusciti tra i tardi lavori della band di Tony Iommi. Prende il nome dal dio della legge del pantheon norreno che, in quanto nume tutelare dell’album, sembra avergli assicurato un equo e giusto apprezzamento di critica, in un momento in cui la band si stava faticosamente lasciando alle spalle anni di difficoltà. Ai poco lusinghieri risultati di "Seventh Star" e "The Eternal Idol" (in realtà due dischi che il tempo sta riabilitando) erano infatti seguite le buone vendite di "Headless Cross", ora bissate da "Tyr". Sembravano lontani i tempi d’oro della band, edita dalla piccola I.R.S. e tormentata da numerosi cambi di line-up; eppure i Black Sabbath danno ancora una volta prova di maestria creando un album affascinante, frutto del gusto fine e dell’onorato bagaglio di esperienza di Tony Iommi, qui spalleggiato dal bravo ed umile Tony Martin alla voce, dal compianto Cozy Powell alle pelli e dal bassista Neil Murray (in sostituzione di un momentaneamente defezionario Geezer Butler).
"Tyr" convince fin dal primo ascolto. La più riuscita espressione dell’afflato epico che pervade tutto il disco è probabilmente "Anno Mundi", sottotitolata "The Vision": un piccolo gioiello, arioso ed evocativo, in cui la voce possente di Tony Martin sembra condurre l’ascoltatore in lontananze terse e struggenti. "The Law Maker" è un pezzo impetuoso, aperto da un breve ma veemente assolo di chitarra (usanza ottantiana che purtroppo è andata sempre più in disuso), mentre col mid-tempo "Jerusalem" si respirano nuovamente le atmosfere evocative dell’opener. È di forte impatto l’inizio minaccioso di "The Sabbath Stones", stupendo pezzo giocato sull’alternanza di atmosfere rarefatte, ancora una volta tinteggiate dall’intensa voce di Martin, e riprese energiche. Le successive tre tracce sono accomunate dal riferimento alla mitologia nordica (un tema oggi inflazionato, ma ai tempi inusuale per i Black Sabbath): "The Battle of Tyr" è un intro di tastiere affidato alla sapienza di Geoff Nicholls, da oltre un decennio quinto membro “fantasma” dei Sabbath; la ballad "Odin’s Court", altra perla misteriosa e soffusa, sembra ritagliata appositamente per esaltare le doti del singer, mentre la furibonda "Valhalla" torna a scaldare gli animi più dinamici. La bella "Feels Good To Me" smorza adeguatamente i toni, elevando però l’intensità dei sentimenti, ed "Heaven In Black" è il macigno finale che, strizzando l’occhio alle ritmiche degli anni ’70, chiude un disco più che riuscito.
È inutile comparare questa fase della carriera dei Sabbath con l’era Ozzy; "Tyr" è un album di ottima fattura che merita di essere valutato per i suoi pregi: gli assoli sempre eleganti di Iommi, la voce maestosa di Martin e soprattutto le atmosfere evocative non possono lasciare indifferenti gli amanti dell’heavy metal più fine ed espressivo. Da riscoprire.
Black Sabbath
Tyr
1990, I.R.S.
Heavy Metal
01. Anno Mundi
02. The Law Maker
03. Jerusalem
04. The Sabbath Stones
05. The Battle of Tyr
06. Odin's Court
07. Valhalla
08. Feels Good to Me
09. Heaven in Black
02. The Law Maker
03. Jerusalem
04. The Sabbath Stones
05. The Battle of Tyr
06. Odin's Court
07. Valhalla
08. Feels Good to Me
09. Heaven in Black
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