Black Sabbath
Tyr

1990, I.R.S.
Heavy Metal

Recensione di Federico Mainardi - Pubblicata in data: 17/03/13

È un fatto: pochissime band hanno avuto un’importanza storica paragonabile a quella degli immensi Black Sabbath, seminali per la nascita di vari generi e sottogeneri del rock più duro. A questo dato, però, urge aggiungerne un altro: pochi hanno saputo rinnovarsi e creare dischi sempre pregevoli, anche se non in tutti i casi premiati dal mercato, quanto gli inaffondabili Black Sabbath. "Tyr" è sicuramente uno dei più riusciti tra i tardi lavori della band di Tony Iommi. Prende il nome dal dio della legge del pantheon norreno che, in quanto nume tutelare dell’album, sembra avergli assicurato un equo e giusto apprezzamento di critica, in un momento in cui la band si stava faticosamente lasciando alle spalle anni di difficoltà. Ai poco lusinghieri risultati di "Seventh Star" e "The Eternal Idol" (in realtà due dischi che il tempo sta riabilitando) erano infatti seguite le buone vendite di "Headless Cross", ora bissate da "Tyr". Sembravano lontani i tempi d’oro della band, edita dalla piccola I.R.S. e tormentata da numerosi cambi di line-up; eppure i Black Sabbath danno ancora una volta prova di maestria creando un album affascinante, frutto del gusto fine e dell’onorato bagaglio di esperienza di Tony Iommi, qui spalleggiato dal bravo ed umile Tony Martin alla voce, dal compianto Cozy Powell alle pelli e dal bassista Neil Murray (in sostituzione di un momentaneamente defezionario Geezer Butler).

"Tyr" convince fin dal primo ascolto. La più riuscita espressione dell’afflato epico che pervade tutto il disco è probabilmente "Anno Mundi", sottotitolata "The Vision": un piccolo gioiello, arioso ed evocativo, in cui la voce possente di Tony Martin sembra condurre l’ascoltatore in lontananze terse e struggenti. "The Law Maker" è un pezzo impetuoso, aperto da un breve ma veemente assolo di chitarra (usanza ottantiana che purtroppo è andata sempre più in disuso), mentre col mid-tempo "Jerusalem" si respirano nuovamente le atmosfere evocative dell’opener. È di forte impatto l’inizio minaccioso di "The Sabbath Stones", stupendo pezzo giocato sull’alternanza di atmosfere rarefatte, ancora una volta tinteggiate dall’intensa voce di Martin, e riprese energiche. Le successive tre tracce sono accomunate dal riferimento alla mitologia nordica (un tema oggi inflazionato, ma ai tempi inusuale per i Black Sabbath): "The Battle of Tyr" è un intro di tastiere affidato alla sapienza di Geoff Nicholls, da oltre un decennio quinto membro “fantasma” dei Sabbath; la ballad "Odin’s Court", altra perla misteriosa e soffusa, sembra ritagliata appositamente per esaltare le doti del singer, mentre la furibonda "Valhalla" torna a scaldare gli animi più dinamici. La bella "Feels Good To Me" smorza adeguatamente i toni, elevando però l’intensità dei sentimenti, ed "Heaven In Black" è il macigno finale che, strizzando l’occhio alle ritmiche degli anni ’70, chiude un disco più che riuscito.

È inutile comparare questa fase della carriera dei Sabbath con l’era Ozzy; "Tyr" è un album di ottima fattura che merita di essere valutato per i suoi pregi: gli assoli sempre eleganti di Iommi, la voce maestosa di Martin e soprattutto le atmosfere evocative non possono lasciare indifferenti gli amanti dell’heavy metal più fine ed espressivo. Da riscoprire.



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