Questo altisonante preambolo nasce per presentare i Black Tongue, quartetto inglese fondato nel 2013 e dedito a una strana commistione di generi che la band stessa definisce doomcore, ma che in realtà è molto di più. "The Unconquerable Dark" è infatti un disco dalle mille sfaccettature, complesso nel suo insieme ed impressionante per la quantità di dettagli che riesce a convogliare. La tracklist, falsamente breve, si compone di brani variegati ma al contempo aderenti ad una linea di demarcazione da cui la band non si scosta nemmeno di un millimetro.
C'è molto di Meshuggah, per certi toni (e accordature molto ribassate) ma alcuni brani prendono in prestito numerosi elementi da alcune delle frange più sperimentali del metal estremo. Non si parla di avantgarde, ma vien comunque da pensare ai Neurosis. Soltanto che la produzione è leggermente più secca, pulita, quasi ci fosse passato Peter Tagtgren a togliere qualche suono leggermente impastato che è capitato di sentire in taluni album del genere.
Generi apparentemente non proprio conciliabili, come il doom, il mathcore e lo sludge (condito con una sana dosa di technical death) diventano improvvisamente un tutt'uno, piacevole all'ascolto grazie ad un pregevole songwriting e abilità tecniche non indifferenti. Va fatto notare come i Black Tongue siano riusciti a mantenere un'elevata qualità per tutta la durata del disco. "The Unconquerable Dark" tocca l'apice proprio a metà, con il quinto brano, "Vermintide", in fui fa la sua comparsa anche Eddie Hermida, attuale vocalist dei Suicide Silence. Il brano è compatto, violento e colpisce diritto al cuore. Ma anche il seguente "Prince Of Ash", più lento ma altrettanto valido, vanta un momento, negli ultimi trenta secondi, strascicato e malinconico, quasi funereo, che sfuma perfettamente nell'intro pacata ma inquietante di "The Masquerade".
In sintesi, il disco risulta buono e a tutto tondo, molto maturo per una band tanto giovane e di recente formazione. Vi si riconosce dell'abilità, soprattutto nel far funzionare insieme tante influenze così diverse e complesse in un unico sistema equilibrato. Si può sempre migliorare, ma partire da una base del genere è indubbiamente un bel vantaggio.