Birth Of Joy
Prisoner

2014, Long Branch Records/SPV
Psychedelic Rock

Un disco acido, solcato dal blues del nuovo decennio
Recensione di Francesco De Sandre - Pubblicata in data: 28/02/14

Esiste una critica musicale responsabile, razionale ed oggettiva, ed una critica musicale visionaria, irresponsabile e per questo motivo fumosa ed ipocrita. A volte però dietro la densa massa fumosa di un'esclamazione istigatoria si cela una piccola parte di verità: aggiungendo il fatto che ci troviamo di fronte una band ormai consolidata, con più pubblicazioni all'attivo dal 2010, dopo aver ascoltato "Prisoner" la tentazione di annunciare la venuta dei nuovi Doors è piuttosto allettante.


La non-provocazione rende perfettamente l'idea di quanto registrato dal trio di Utrecht: un disco acido, solcato dal blues interpretato nella versione del nuovo decennio, con Kevin Stunnenberg, Bob Hogenelst e Gertjan Gutman primi allievi della scuola di Jim Morrison e Ray Manzarek. "Prisoner" è la continua antitesi tra malinconia ed esplosione vocale e strumentale, tra pause di riflessione e squarci di psichedelia illuminante trainata da una batteria macinante. Un'opera di spessore e di livello che colpisce da subito con il rincorrersi delle tastiere da "The Sound" a "How It Goes" fino alla desolazione di "Clean Cut", passando per l'idea Prog di "Three Day Road".


Birth Of Joy è un sound ben individuato, accogliente e allo stesso tempo solvente, causa dello scioglimento delle barriere del blues e dell'alternative moderno. È un trio di giovani maturi che ripropongono in europa scenari di una vita passata, mai vista. È l'inesorabile arrendersi dell'uomo di fronte alla potenza del tempo e della società - del tempo perduto - che non concede, ora, la nascita di nuovi miti. Splendida ordinarietà Made In Netherland.





01. The Sound
02. How It Goes
03. Keep Your Eyes Shut
04. Three Day Road
05. Grow
06. Rock & Roll Show
07. Longtime Boogie
08. Mad Men
09. Holding On
10. Prisoner
11. Clean Cut

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