La non-provocazione rende perfettamente l'idea di quanto registrato dal trio di Utrecht: un disco acido, solcato dal blues interpretato nella versione del nuovo decennio, con Kevin Stunnenberg, Bob Hogenelst e Gertjan Gutman primi allievi della scuola di Jim Morrison e Ray Manzarek. "Prisoner" è la continua antitesi tra malinconia ed esplosione vocale e strumentale, tra pause di riflessione e squarci di psichedelia illuminante trainata da una batteria macinante. Un'opera di spessore e di livello che colpisce da subito con il rincorrersi delle tastiere da "The Sound" a "How It Goes" fino alla desolazione di "Clean Cut", passando per l'idea Prog di "Three Day Road".
Birth Of Joy è un sound ben individuato, accogliente e allo stesso tempo solvente, causa dello scioglimento delle barriere del blues e dell'alternative moderno. È un trio di giovani maturi che ripropongono in europa scenari di una vita passata, mai vista. È l'inesorabile arrendersi dell'uomo di fronte alla potenza del tempo e della società - del tempo perduto - che non concede, ora, la nascita di nuovi miti. Splendida ordinarietà Made In Netherland.