I brani appaiono rivestiti di un progressive rock ad alto tasso melodico non troppo tecnico e marginalmente ambizioso: poche soluzioni ritmiche di avanguardia, brusii fusion, un occhio all'AOR e al pop più mainstream, l'inevitabile influenza di Asia, Yes e World Trade. Il disco, così, suona sommesso e delicato, vola come farfalla in una tiepida brezza estiva, si ascolta con piacere negli ascensori dei grattacieli e nei grandi magazzini Arrows, cambia direzione senza brusche sterzate; da Adolf Hitler a Cristoforo Colombo, da Stephen Hawking a Wyatt Earp, il bassista di Las Vegas dipinge storie suggestive su una tela musicale fine e orecchiabile, nella quale il protagonista entra in profonda simbiosi con le varie identità assunte.
Sin dalle note iniziali della fluida e sostenuta "The Partisan" emerge evidente, e forse anche ovvio, quanto conti la componente cinematica nell'architettura generale del platter: complici arrangiamenti dal taglio futuristico i pezzi, in particolare la conclusiva "Hold Quite", dedicata al compianto Chris Squire, beneficiano del gusto della narrazione e del racconto. Le pennellate impressioniste di "Monet", il sapore canterburyano di "Skywriter", il groove ovattato di "We Shall Ride Again", gli arzigogoli gentili di "Sailing The Seas", il noir vintage di "Mata Hari": sembra quasi di assistere a una serie di cortometraggi ottantiani soltanto carezzati dai tempi dispari e in cui la preminenza viene conferita, con esiti positivi, alla pastellatura armonica dell'ordito.
Che Billy Sherwood stia pensando a un ulteriore seguito di "Citizen: The Next Life"? Lo speriamo, vista la raffinata eleganza del secondo capitolo. "The future will be there, waiting for us": una frase, una promessa.