Se Hurts e Coldplay sono in affanno, perché non tentare di fonderli? Dai primi si potrebbe prendere un certo senso di romanticismo e quel pizzico velato di wave retromaniaca indispensabile nel nostro presente, dai secondi l’epica apertura delle melodie, e le vocaaaaaliiii luuuuungheee sui ritornelli. Poi, per rendere davvero presentabile il tutto, il ciuffo verso il basso degli emo che furono deve essere sparato verso l’alto (oggi, o hai un banjo in mano, o hai almeno 5cm di cofana davanti, altrimenti non sei nessuno), e si infarcisono le canzoni, in sede di arrangiamento, di strumenti anomali che strizzano l’occhio agli indie-sigenti.
Grossomodo seguendo questa ricetta nascono i Bastille, quartetto inglese guidato da un Dan Smith carismatico ed esotico quanto il suo nome di battesimo, in un esordio - “Bad Blood” - che fa di tutto per sviare l’attenzione dall’assoluta linearità e prevedibilità di cui è pervaso. Si passa dai tribalismi alla Peter Gabriel dell’attuale singolo “Pompeii” (due “i”, pensate sia casuale?) o dell’ultima Florence + The Machine (“Icarus”), al calypso (“These Streets”), passando per pizzicati di archi (“Things We Lost In The Fire”), suoni di Atari (“Weight Of Living Pt. II”) e le immancabili – strazianti – ballad pianistiche (“Overjoyed”, “Oblivion”). Tutto circondato da un groove elettrico iper-prodotto con precisione chirurgica ed un’interpretazione vocale in costante ed affannoso inseguimento dei Fun.
Il risultato finale? Un disco perfetto da mettere come colonna sonora mentre si fa la spesa – col pensiero fisso su cosa si sta mettendo nel carrello cercando di non dimenticare nulla di quanto segnato in lista, mica sulla musica – un’opera di quelle innocue che puoi passare centomila volte in radio saturando l’attenzione degli ascoltatori casuali che, tuttavia, una volta finita la canzone manco si ricordano chi è che la stava suonando. Tutti gli altri - parliamo di coloro dotati di un minimo di gusto, cultura musicale e susseguente intransigenza - vedranno immediatamente la consistenza da carta velina di cui questo “Bad Blood” si fa vanto, opera in cui l’unico, vero pregio artistico è l’ode dedicata alla protagonista di Twin Peaks in “Laura Palmer”.
Almeno, come consolazione sappiamo che i Bastille hanno gusto in fatto di film. Per tutto il resto, invece, si consiglia un’abbondante dose di estro, personalità e coraggio di andare oltre. O, in alternativa, un banjo. Finché dura…