Avenged Sevenfold
Hail to the King

2013, Warner Bros
Heavy Metal

Il ritorno degli  Avenged Sevenfold è un fedele specchio dei tempi...
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 26/08/13

Diciamoci la verità, quando una band, nelle dichiarazioni prima della pubblicazione e in accompagnamento a un nuovo lavoro, tira fuori l’annoso argomento del voler ritornare alle radici del proprio sound, in questo caso rock/metal, tirando in ballo nomi ormai entrati nei libri di scuola, spacciando il tutto come “nuova fase”, la cosa mette sempre una certa apprensione.

Quante volte l’abbiamo già visto? Affermazioni che fanno impennare l’hype con pubblico e critica divisi. Non per questo un qualcosa da giudicare negativamente se la band riesce comunque a sfornare materiale valido (vedi l’amarcord in “Heritage” degli Opeth), ma sicuramente un punto, magari temporaneo, di stop/riflessione nella carriera di una formazione. Ma veniamo a noi, agli Avenged Sevenfold e al nuovo parto “Hail to the King”. Che il sound dei nostri sia sempre stato derivativo è chiaro come il sole, che alcuni numi tutelari si siano ripresentati album dopo album è altrettanto vero, dunque suona decisamente paradossale l’intenzione della band americana di focalizzarsi maggiormente sul “core dell’heavy metal” (parole del chitarrista Zacky Vengeance), cercando di non perdersi in costruzioni troppo articolate e strutture particolarmente difficili.

Ora ci chiediamo, se i nostri hanno sempre munto a piene mani dai mostri sacri di cui sopra, riuscendo a distinguersi musicalmente grazie a una certa esuberanza compositiva, unendo più stili e regimi insieme, strizzando l’occhio ai newcomer metal quanto alle orecchie meno intransigenti, se in “Hail to the King” troviamo le stesse palesi influenze già segnalate in “Nightmare”, ma in una forma che non contempla velocità e particolari cambi di ritmo, preferendo una scrittura seriale e radiofonica, sicura, tranquilla, rassicurante, dove sarebbe il passo avanti o la novità? Non serve avere l’età dei datteri (di quelli che il metal è morto negli anni 90), ma un po’ di orecchio e discernimento per captare la gabola messa in piedi dal quintetto californiano.

Paradossalmente gli Avenged Sevenfold sono i migliori a “rielaborare”, a prendere più di uno spunto e farlo proprio, numeri uno della “scopiazzata”, ad oggi un paradosso di successo. Guns N' Roses, Iron Maiden d'annata, Metallica, attitudine più ruvida e meno “adolescente”, ballate più profonde e ritornelli “radio friendly”, questi sono gli Avenged Sevenfold di “Nightmare”. Ci ripetiamo dalla recensione di tre anni fa, sostituendo il disco precedente con il nuovo “Hail to the King”, con l'ulteriore zavorra di essere un album “happy meal” (il limite si sposta continuamente), di quelli buoni per un ascolto svogliato in auto o durante una cazzeggiata sul web. Messe da parte velocità ed esuberanza (anche tecnica, i buoni assoli non riescono a salvare la baracca), al sesto album in carriera "non manca niente": il tributo ai Metallica con la title track (sentite la strofa e pensate a una “Enter Sandman” in versione rallentata), ai Guns N’ Roses con “Doing Times”, quello agli Iron Maiden con “Coming Home”, la power ballad lacrimosa (“Crimson Day”) e persino il brano epicheggiante dall’intro in latino (“Requiem”).

A seconda delle scuole di pensiero le tracce potrebbero essere ottimi esempi di metal/rock ben suonato, orecchiabile e a presa rapida, o aridi tentativi di mettere in piedi un disco andando sul sicuro (se citi band di tale livello difficilmente tirerai fuori brutti pezzi), sacrificando all’altare della massima fruizione possibile alcune peculiarità che avevano permesso di fare dei nostri una realtà di livello, derivativa (come il 90% di quello che si ascolta di nuovo), ma almeno con qualche guizzo degno di nota. “Hail to the King” è il definitivo passaggio “mainstream”, dichiarato in maniera che più netta non si può, che tutte le band di enorme successo si trovano a compiere prima o poi, tanto orecchiabile quanto dimenticabile... Non un brutto album sia chiaro (il che giustifica la sufficienza in fondo, nonostante tutto), i fan e gli ascoltatori occasionali saranno certamente contenti, ma un orecchio critico non può passare sopra a certe dichiarazioni prima e certi brani poi.



Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool