Architects
Lost Forever // Lost Together

2014, Epitaph Records
Metalcore

Recensione di Lorenzo Zingaretti - Pubblicata in data: 20/03/14

Terzo disco in poco più di tre anni (gennaio 2011 – marzo 2014) per gli inglesi Architects, ormai paladini del metalcore a livello mondiale: se “Daybreaker”, l'album di mezzo di tale trittico, era servito per riprendersi un posto sulla mappa dopo le critiche rivolte al suo predecessore, il forse troppo melodico “The Here And Now”, quest'ultimo prodotto dovrebbe confermare il cammino della band di Sam Carter e soci. E sembra riuscire nell'impresa, perché la via è quella (solita) della potenza alternata alla melodia, stavolta con un bilanciamento decisamente a favore del primo elemento.

Gli Architects di “Lost Forever // Lost Together”, questo il titolo del disco, sono però talmente concentrati sull'obiettivo da dimenticare qualcosa per strada. Se l'opener “Gravedigger” convince in pieno fin dal primo ascolto, grazie ad una partenza arpeggiata che si tramuta presto in un incedere aggressivo e poi in un chorus che si stampa in testa con estrema facilità (buono l'uso del clean “sporcato” da parte del biondo frontman), i problemi iniziano già dalla successiva “Naysayer”, che sembra ricalcare la traccia di apertura. E allo stesso modo “Broken Cross” non si discosta molto da quanto già fatto fin'ora, e siamo solo alla terza canzone. Presi singolarmente, questi tre brani sono piuttosto buoni, con tutti gli ingredienti a cui gli Architects ci hanno abituato, ma messi uno dietro l'altro perdono qualche punto, proprio perché tendono ad essere troppo simili tra loro. Per non parlare poi di quando la qualità cala e si incontrano i filler del disco: in qualche caso, se non si presta attenzione, non si capisce nemmeno che si è passati da un pezzo all'altro!

Dopo una partenza tutto sommato convincente e alcuni pezzi di certo non memorabili, il disco ha una leggera impennata con la doppietta “C.A.N.C.E.R” - “Colony Collapse”, due brani che sfruttano di nuovo a meraviglia il binomio pesantezza-melodia regalando refrain da cantare e parti in cui l'headbanging è un dovere morale. Azzeccato in particolare il ritornello di “Colony Collapse”, l'unico momento del disco in cui il clean di Carter è “pulito” nel vero senso della parola – oltre al tranquillo break di metà pezzo, il momento più intimo del disco.  Dopo questo paio di highlights però c'è un nuovo calo, in cui si segnala soltanto la chiusura affidata alla buona “The Distant Blue” che affievolisce i toni ma non riesce a rievocare lo splendore di altri lenti made in Architects, come la splendida “Hollow Crown” dall'omonimo disco.

Oltre a quella vaga (ma anche qualcosa di più) sensazione di ripetitività che aleggia in tutto il disco, un difetto piuttosto marcato è relativo al lavoro degli strumenti. I riff veramente degni di nota si contano sulle dita di una mano, con il lavoro delle chitarre piatto e monotono, mentre la batteria non fa molto di più e anzi si perde in troppi breakdown, che alimentano il classico cliché del metalcore. La prova di Carter dietro al microfono è invece da segnalare per la versatilità dimostrata dal cantante: avrà pure perso un po' della potenza sprigionata ai tempi del mai troppo osannato “Hollow Crown”, ma riesce ancora a sfruttare in pieno la sua ugola per regalare agli ascoltatori un'altalena di sensazioni differenti, come genere comanda. Poi sa anche come colpire nel segno con frasi come “You can't stop me giving a fuck / Fuck it, I'm a dreamer and I'm dreaming on”, tratta da “Naysayer” e destinata a diventare un anthem generazionale per gli ascoltatori più giovani.

Con un po' di mestiere (sono giovani, ma molto prolifici a livello di produzioni in studio) e qualche buona idea, gli Architects si salvano in calcio d'angolo: questo “Lost Forever // Lost Together” non è un disco da buttare via, anzi potrebbe risultare gradito ai fan più accaniti del gruppo. Ma lascia un po' di amaro in bocca per la troppa ridondanza nello stile, che confonde un po' il percorso evolutivo dei ragazzi di Brighton. Preso a piccole dosi rimane un disco discreto, ma scommetto che col tempo si salveranno soltanto quei tre/quattro brani veramente degni di nota.



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