Appino
Il Testamento

2013, La Tempesta
Rock

L'opera solista di Mr. Zen Circus non è un lascito in punto di morte, ma una celebrazione della vita
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 11/03/13

Neanche due mesi fa eravamo qui a descrivervi l’opera solista Karim Qqru a firma La Notte Dei Lunghi Coltelli, ed ecco che anche il vocalist dei The Zen Circus si distacca dalla band madre e ci propone il suo personale testamento. A quando il disco solista di Ufo?

Al di là della battuta, siamo veramente grati sia a Karim che al buon Andrea per questi progetti collaterali, non solo perché, in entrambi i casi, si parla di dischi di qualità, ma anche e soprattutto perché entrambe le opere ci permettono di capire meglio il meccanismo di composizione all’interno dell’apprezzato trio punk rock. In particolare, se Qqru nel suo progetto solista ha concretizzato la parte rabbiosa della musica degli Zen donandole una nuova veste electro-hardcore, Appino per contro prende il versante melodico della band, manifesto da “Andate Tutti Affanculo” in avanti, e su questa impalcatura costruisce il suo personale esordio elaborando un concept sulla sua famiglia, ed usando l’opera discografica come fosse una terapia.

Badate bene: se pensate di trovarvi di fronte ad un distillato melodico degli ultimi Zen, non siete fuoristrada, ma neanche state percorrendo la carreggiata in modo allineato. “Il Testamento”, difatti, presenta sfumature scarsamente accennate nella band madre di Appino e, per questo, fresche ed inedite; come il folk rock (estremamente heavy, quasi metal) di “Che Il Lupo Cattivo Vegli Su Di Te”, il crescendo drammatico della sinfonica apertura in titletrack, le sgommate dubstep (“Fuoco!”) e le esplosioni “nu” alla Linea 77 (“Lo Specchio Dell’Anima”, “Schizofrenia”). Certamente, non mancano momenti maggiormente famigliari riconducibili direttamente al circo di cui Appino è istrionico clown animatore, come la sanguigna ballad country con armonica e odori di De Andrè di “La Festa Della Liberazione”, o gli echi delle melodie ‘60s di “Tre Ponti”, ma sono casi isolati e rari, poiché il vero difetto d’opera, semmai, è la sua eccesiva prolissità, sia in termini di numero (14 brani) che di peso specifico (durata media medio-lunga delle canzoni, non scevre di una certa ripetitività di fondo).

Pur tuttavia, ci si sente di perdonare ad Andrea questa smania di comunicazione tipica di chi ci prende la mano, anzi: poiché il disco viene usato dal cantante come pretesto per versarci addosso le sue riflessioni ed il suo interessante quanto travagliato vissuto, in un certo senso che il carico sarebbe stato pesante era un pericolo concretamente preventivato. A maggior ragione, poi, se si sta parlando del frutto di otto anni di scrittura e di raccolta.

Ciò che conta maggiormente, invece, è che il fuoco lucido dell’opera (sia nei testi che nelle melodie), nonché la sempre ottima capacità di arrangiamento (più che fondamentale l’apporto di Giulio Ragno Favero degli One Dimensional Man), consacrano definitivamente la seppur giovane figura di Andrea Appino come cantautore maturo a 360 gradi, ovvero come artista in grado di dire cose estremamente interessanti nella nostra italiana contemporaneità musicale, sia in forma solista che in trio. Quindi, più che un testamento in punto di morte, qui si tratterebbe di un vero e proprio battesimo celebrativo della vita.  




01. Il Testamento   
02. Che Il Lupo Cattivo Vegli Su Di Te   
03. Passaporto   
04. Lo Specchio Dell'anima   
05. Fuoco!   
06. La Festa Della Liberazione   
07. Questione D'orario   
08. Fiume Padre   
09. Solo Gli Stronzi Muoiono   
10. I Giorni Della Merla   
11. Tre Ponti   
12. Godi (Adesso Che Puoi)   
13. Schizofrenia   
14. 1983  

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