Decapitated
Anticult

2017, Nuclear Blast Records
Death Metalcore

Buone, anzi splendide notizie per i fans della deathband polacca: il nuovo disco è un concentrato di energia, idee e ritmiche mozzafiato! E il nuovo album è una vera dichiarazione di guerra ad ogni religione.
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 07/07/17

C'era una volta un gruppo di ventenni che voleva ad ogni costo diventare la più importante death metal band della Polonia... e ci è riuscita, corpo di mille balene! Reduci da infinite traversie (incidenti mortali, defezioni, cambi di line-up...), i Decapitated tornano alla carica con un album destinato a segnare uno spartiacque nell'avventurosa carriera di questi musicisti: sì, perchè "Anticult" persegue un deciso spostamento dall'ultratecnico death metal duro e puro dei primi dischi verso il deathcore, con un poderoso innesto di ritmiche hardcore/thrash ipervitaminizzate, imprevedibili stacchi d'atmosfera e riff granitici: in questo album, più che nei precedenti, emerge con chiarezza la matrice genuinamente rock delle ritmiche della band che, se spesso si avvertiva mimetizzata dietro muri e muri di doppie casse e arrangiamenti complessi, adesso si mostra senza riserve. Shoccati dalla notizia? E se vi dicessimo che il disco si apre con un arpeggino in sordina? Che i brani sono generalmente brevi? E che l'album è il più breve della loro carriera? "Impulse" è l'araldo del mutamento: il brano inizia in sordina, si carica vieppiù procedendo nell'ascolto, esplode verso il primo minuto in una ritmica travolgente che si scioglie nel lento, pesantissimo riff del ponte, torna sui suoi passi e chiude a tagliola; un vero gioiello, ma è solo l'inizio. La successiva "Deathvaluation" sciorina lucido metallo sparato ad altissimi livelli e si conferma l'impressione che la band cerchi soluzioni più sanguigne ed immediate, meno cervellotiche: «Uno dei nostri obiettivi in fase compositiva è di non pensarci su troppo», rivela Vogg, «ci diciamo: hey, è soltanto musica, non rendiamolo un processo tortuoso. Se un riff suona bene, rimane così com'è».
E se aggiungessimo ancora che lungo il disco vi sono vari stacchi "tranquilli" di chitarra semipulita? Freniamo, freniamo, prima che qualcuno inizi a supporre che i Decapitated siano stati morsi da glam rockers mannari vaganti per le lande polacche... no: fanno sempre death, e la quiete non fa che anticipare la tempesta, ma hanno compiuto una scelta analoga a quella che - con i dovuti distinguo - vent'anni fà fecero i Sepultura passando dal sound di "Arise" a quello di "Chaos A.D." e crediamo che oggi nessuno se ne lamenti. A questo proposito, nella nostra ultima intervista alla band, Waclaw Kieltyka rivela dettagli interessanti: si direbbe che i Decapitated vogliano allargare il proprio bacino d'ascolto senza sacrificare l'impatto; come il precedente "Blood Mantra" ha portato la band a orde di nuovi proseliti, il nuovo disco alza ancor più l'asticella; in questo senso, brani come "One Eye Nation", "Never" e la opening track sedurranno metallari di qualsiasi osservanza. «Ascolto tutti i generi di metal e di musica», ammette Vogg, «Sarebbe difficile per me oggi fare un disco di puro death metal. E penso che mi annoierei pure».

 

Si sa, i fans si dividono in due grandi categorie: i Conservatori, che quando una band evolve gridano al tradimento; e i Riformisti, cioè quelli che porgono l'orecchio alle novità senza pregiudizi... e poi, semmai, cassano o incensano. Ovviamente, il rischio di deludere c'è, ma occorre rischiare se si vuole sorprendere. Così fanno i Decapitated con quest'ultimo lavoro, che si snoda senza una sbavatura nè una caduta di tono dal primo all'ultimo pezzo, passando per "Kill The Cult", nella quale la band sperimenta ritmiche più lente e inesorabili, "Anger Line" furiosa e combustibile, "Earth Scar" scabra e lancinante e dall'appeal heavy, che cede un poco alla furia per compensare con il groove, il primo singolo "Never" che riassume tutte le novità del disco e la sublime e conclusiva "Amen" che sigilla con originalità l'album con un graduale ed emozionante "adieu" di ogni singolo strumento fino alle nude pelli percosse: un sound dalla maturità ormai conseguita, che dimostra di saper giocare col silenzio e non solo col rumore; il miglior album, a nostro giudizio, dai tempi di "Organic Hallucinosis". Il nuovo bassista Hubert Wicek, che nel 2016 ha ufficialmente sostituito Pawe Pasek, ha fatto sentire stilisticamente il suo contributo.


"Anticult" ambisce a diventare, nella discografia della band, una sorta di manifesto ideologico. L'idea di base è quella di opporsi al sistema, per essere davvero individui. Badare a sé stessi per definire il proprio codice di condotta. Naturalmente le sofferenze patite dalla band (ricordiamo qui la perdita di Vitek, il giovane fratello del chitarrista, deceduto in seguito ad un tragico incidente stradale durante il tour del 2007) hanno giocato un ruolo importante, ma non decisivo. "Anticult" si domanda ancora una volta se noi siamo semplicemente il prodotto della società in cui viviamo. Dichiara guerra ad ogni superstizione, ma si apre anche all'illuminazione ed alla gnosi. Straordinaria anche la resa sonora del disco, così potente e fresca, merito della cura riservata al processo di incisione: sono occorsi otto giorni ai Custom34 Studios di Gdansk (Polonia) per le parti di batteria, poi le voci e le chitarre sono state incise in cinque settimane agli ZED Studios, in Repubblica Ceca; mixaggio e master sono stati realizzati in compagnia di Daniel Bergstrand (Meshuggah, In Flames) e Lawrence Mackroy (Firespawn, Nightrage) ai Dugout Studios di Uppsala, in Svezia. Un gioiello lucido e affilato, da ascoltare e riascoltare fino a sciogliere i coni delle casse! E lunga vita ai Decapitated.





Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool