Anette Olzon
Shine

2014, earMUSIC
Pop Rock

Il ritorno di Anette, in punta di piedi. Bye Bye Nightwish...
Recensione di Marco Belafatti - Pubblicata in data: 24/03/14

Se nel vostro curriculum compare la voce “ex cantante dei Nightwish” rassegnatevi pure: difficilmente vi libererete da questa etichetta. Ce l'ha insegnato la signora Turunen, con la sua zoppicante e trascurabile carriera solista, costruita all'ombra di un passato troppo ingombrante. “Stessa storia, stesso posto, stesso bar”, cantavano gli 883... Già, solo che a questo giro, tagliati i ponti con il mondo del symphonic metal che conta, tocca alla svedesina Anette Olzon ammaliarci con un progetto discografico più e più volte rimandato, forse anche a causa di scottanti questioni burocratiche interne alla band di Tuomas Holopainen. O quanto meno provarci: capello viola da competizione, un'allegra scampagnata nella tundra innevata, un vocalizzo, qualche chitarrina... tutto è pronto per rilanciare l'immagine di una delle voci meno amate di sempre in tutto il panorama metal. Beh, non serve un genio per capire che i conti non tornano. Le immagini promozionali al limite del kitsch, il singolo “Lies” e il videoclip correlato, entrambi bruttini: l'operazione di marketing non poteva essere meno azzeccata...

Eppure “Shine” dimostra la determinazione della cantante nell'affrancarsi da una parentesi musicale turbolenta, da un genere che a conti fatti non ha mai saputo valorizzarla completamente. Anette, cresciuta a pane e ABBA e maturata artisticamente grazie all'esperienza nella formazione AOR degli Alyson Avenue, torna finalmente tra le tranquille mura di casa, dove risuonano le melodie zuccherose e disimpegnate a cui è affezionata. Gli arrangiamenti qui non esagerano, ma accompagnano la voce armoniosa della Olzon in un viaggio di quasi 40 minuti all'insegna di una malinconia radiofonica, tipicamente nordeuropea (“Shine”, “Hear Me”). Senza mai strafare e senza mai strillare, come se il disco fosse figlio dei Blackmore's Night più romantici (“Invincible”, “Moving Away”, “Watching Me From Afar”), anziché dei Nightwish di “Dark Passion Play” e “Imaginaerum”, un ricordo sbiadito tra la forzata epicità di “Lies” e gli anonimi riff di “Falling”.

Considerata l'esperienza di Tarja a cui accennavamo in apertura, meglio così: chi ha detto che la consapevolezza dei propri limiti non possa diventare un asso nella manica? E se la stella di Anette Olzon ancora non brilla di luce propria, non abbiamo molti dubbi: la strada che conduce alla credibilità artistica è già stata imboccata.





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Anette Olzon: Anette Olzon

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