Phil Rudd
Head Job

2014, Universal
Rock n'Roll

Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 10/10/16

Ebbene sì, anche nel mondo il rock n'roll si viene e si va in qualche modo, ma non tutti gli avvicendamenti sono a esclusivo vantaggio delle nuove leve. Il ritorno sulle scene di Phil Rudd si consuma proprio mentre gli AC/DC si avviano mestamente verso la fine, un po' come assistere a una surreale staffetta fra l'ex batterista e la band che ha dovuto rinunciare al suo straordinario contributo per i noti motivi giudiziali. Del musicista australiano diremo poco, se non che il suo drumming ha caratterizzato la musica degli AC/DC tanto quanto lo stile di Angus Young, con il quale formava un binomio unico e inconfondibile.

"Head Job" è il suo debutto da solista e ha visto la luce ben due anni fa quando, a causa dei problemi di cui sopra, la promozione del disco si è giocoforza interrotta subito dopo la pubblicazione nella sola Australia. Ora che ha pagato i suoi debiti con la giustizia, Phil è pronto per tornare in pista e gridare al mondo la sua voglia di rivalsa.
 
Il disco solista di Phil Rudd suona esattamente come te lo aspetteresti: pulsante, lineare e straordinariamente sincero, un linguaggio dalla semplicità pari a quella di un codice binario (e chi l'avrebbe mai detto...). A voler essere maligni, si potrebbe dire che "Head Job" suona come un disco degli AC/DC in versione light, privo dell'ardore scaturito dalla chitarra di Angus e strano a dirlo, della pulsante sezione ritmica. Un disco rock nella sua accezione più essenziale, come essenziale è l'apporto di Allan Badger e Geoffrey Martin, gli altri musicisti che accompagnano Phil Rudd in questa sorta di power trio low fi.Ma è quanto basta: la struttura dei brani è alla stregua di un circuito chiuso trainato dallo stile inconfondibile di Rudd, in pratica un riff portante ripetuto per tutta la durata del pezzo o poco di più perché alla fine dei conti, mettetela come volete, il fottuto quattro quarti mantiene intatto tutto il suo fascino. C'è meno monotonia di quello che si potrebbe pensare, come quando il ritmo si spezza di colpo con il country rock di "Crazy", e bastano i pochi accordi di "Lonely Child" e "Bad Move" per recuperare quel mood rancido che ha fatto la fortuna dei Motorhead. Il momento irresistibile del disco si chiama "The Other Side", tentativo di ricordare chi anni addietro provava a bussare alla porta dell'AOR pur venendo da lontano, ma anche la titletrack con il suo manifesto di rock n'roll lifestyle a tutto tondo.
 
"Head Job" assomiglia a quei dischi destinati a esser snobbati dai critici che contano e con la puzza sotto il naso, ai quali basterà leggere il nome dell'autore per pronunciare la fatidica sentenza; in questo, il destino di Phil Rudd è legato a doppio filo a quello degli AC/DC, tanto ignorati dalla critica quanto amati dal pubblico. Dopotutto questi scapestrati dai modi un po' rudi riescono sempre a strappare un sorriso beffardo e regalare un po' di sano divertimento. E' soltanto rock n'roll, magari un po' troppo uguale a sé stesso ma che, nel bene e nel male, in qualche modo riesce sempre a lasciare il segno.




01. Head Job
02. Sun Goes Down
03. Lonely Child
04. Lost In America
05. Crazy
06. BadMove
07. No Right
08. The Other Side
09. FortyDays
10. Repo Man
11. When I Get My Hands On You

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