Dream Theater
Metropolis Pt. 2: Scenes From A Memory

1999, Elektra Records
Prog Metal

Il primo concept album dei Dream Theater è una pietra miliare della loro superba discografia
Recensione di Federico Mainardi - Pubblicata in data: 08/05/13

È il 1999: sette anni sono passati, e due dischi sono intercorsi, dal capolavoro dei Dream TheaterImages And Words”, in cui figurava una “Metrpolis Pt. 1: The Miracle and the Sleeper" che non aveva ancora trovato un seguito. In pochi si aspettavano che quel seguito sarebbe arrivato in una forma tanto sontuosa: un intero concept album, il primo mai realizzato dalla band, che sviluppa in maniera complessa (sia musicalmente sia dal punto di vista delle liriche) gli spunti offerti da “Metropolis Pt. 1”. The Miracle e The Sleeper, là fugacemente evocati, divengono in questo “Metropolis Pt. 2: Scenes From A Memory” i personaggi di un’opera rock in grande stile, divisa in atti e scene. Una drammatica storia di amore e sangue svelata via via dalla sequenza delle tracce – le tracce musicali del cd, che sono anche le tracce di una verità segreta, riscoperta nella tormentata narrazione del protagonista Nicholas. Per l’esegesi del concept, e per le suggestioni cui esso nella sua profondità si presta, rimando al nostro speciale letterario Through Her Eyes #1; qui voglio concentrarmi sul versante prettamente musicale.

Le lancette di un orologio scandiscono i primi secondi dell’opener “Regression”, un pezzo dolce sul genere di “A Silent Man” (contenuta in “Awake”) che lascia presto il posto ad “Overture 1928”. Ed ecco arrivare i primi brividi: il tessuto musicale riprende alcuni riff di “Metrpolis Pt. 1”, per poi farsi articolato e concedere ampio spazio agli assoli di John Petrucci. Negli ultimi anni le performance del guitar-hero sono state tacciate di una certa eccessiva freddezza (che lui stesso non ha smentito), ma in questo disco la sua ispirazione è ancora calda ed il tocco appassionato, quasi in contrasto coi suoni tanto puliti da rasentare l’artificialità, studiati apposta per far risaltare la tecnica sopraffina di ciascun membro del gruppo. Nella seconda parte del brano, infatti, figura il consueto corredo di cambi di tempo e virtuosismi; ciò che colpisce, però, rimane il trasporto con cui la band per tutta la durata dell’album volge la proprie invidiabili doti tecniche alla resa emozionale della vicenda narrata. “Ouverture 1928” si distingue ancora per la presenza di elementi che vengono poi ripresi in altri brani: dei riff in "The Dance of Eternity" e "One Last Time", il coro in "Strange Déjà Vu”. Indicare quali siano le altre composizioni di spicco in un disco che eccelle per classe ed inventiva è davvero arduo. Colpisce il cantato struggente di James Labrie in “Fatal Tragedy”, che pure è un pezzo altamente virtuosistico: magistrale il finale frenetico in cui le partiture degli strumenti, lanciati in una profusione di sedicesimi, si intrecciano fittamente fino ad un’interruzione ad effetto. Eccezionale anche “Beyond This Life”: poco dopo la metà prende i connotati di un blues (sono molti i generi sfiziosamente miscelati in quest’album, dallo swing in “The Dance Of Eternity” alla musica indiana basata sul sitar in “Home”), virando poi in un chiaro tributo a Frank Zappa, con la chitarra di Petrucci ad imitarne lo stile e la tastiera del nuovo arrivato Jordan Rudness che riproduce i suoni dello xilofono. “The Dance Of Eternity” riprende anch’essa elementi di “Metropolis Pt. 1” ed è semplicemente esaltante, uno dei pezzi più ardui in cui brillano soprattutto le acrobazie di Mike Portnoy, ma fa capolino pure un assolo dell’impeccabile quanto schivo bassista John Myung. Il volto commovente dell’album (corrispondente ai momenti più toccanti del concept) è rappresentato dalle bellissime “Through Her Eyes”, “One Last Time” e “The Spirit Carries On”, col suo lungo assolo che molti considerano tra i migliori in assoluto di Petrucci. Il finale a sorpresa è affidato a “Finally Free” che si distingue, peraltro, terminando con lo stesso suono con cui si aprirà il successivo “Six Degrees Of Inner Turbulence”, in una ciclicità che accomunerà anche “Train Of Thought” ed “Octavarium”.

“Scenes From A Memory” è il disco che ogni fan dei Dream Theater desiderava: ipertecnico eppure sempre appassionato, intelligente nella composizione e nel concept. Se con l’ambizioso “Six Degrees Of Inner Turbulence” la band saprà incorporare convincentemente nuovi elementi nel proprio sound, che andrà appesantendosi, “Scenes From a Memory” resta la pietra miliare che chiude il primo periodo d’oro del gruppo portandone all’apice tutte le qualità. Posizionandosi appena sotto l’inarrivabile “Images And Words”, è l’altro album firmato Dream Theater da cui ogni fan del prog metal non può assolutamente prescindere.



Act I
01. Scene One: Regression
02. Scene Two: I. Overture 1928
03. Scene Two: II. Strange Déjà Vu
04. Scene Three: I. Through My Words
05. Scene Three: II. Fatal Tragedy
06. Scene Four: Beyond This Life
07. Scene Five: Through Her Eyes
Act II
08. Scene Six: Home
09. Scene Seven: I. The Dance of Eternity
10. Scene Seven: II. One Last Time
11. Scene Eight: The Spirit Carries On
12. Scene Nine: Finally Free

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool