Avantasia
Moonglow

2019, Nuclear Blast
Symphonic Metal

Recensione di Stefano Torretta - Pubblicata in data: 14/02/19

Tobias Sammet è un genio. Troppe volte incompreso, spesso sottovalutato. Probabilmente, come molti geni, verrà ampiamente rivalutato solamente tra venti o trenta anni, ma per i contemporanei è attualmente difficile comprendere appieno il livello artistico della musica del simpatico musicista di Fulda. “Moonglow”, ottava prova in studio degli Avantasia, la band solista di Sammet, è però un buon punto di arrivo e di partenza per osservare l’Arte che scorre ampiamente nelle vene del gioviale tedesco. Di arrivo perché corona venti anni di carriera di un progetto che nella visione di Sammet poteva avere vita estremamente breve; di partenza perché è un punto di rinascita artistica che si spera faccia da apripista alle future produzioni a nome Avantasia.

Libero da qualsiasi costrizione ad opera di promoter, agenti ed etichette discografiche, Sammet ha dato fondo alla propria vena creativa, rinchiuso nel suo studio privato di registrazione nel seminterrato di casa, un novello Gollum intento a dedicare tutta la propria attenzione al vero Tesoro della sua vita: l’Arte. Basta ascoltare pochi minuti dell’iniziale “Ghost In The Moon” per rendersi conto della cura, dell’ispirazione e della perfetta esecuzione che Sammet ed i suoi allegri compari hanno profuso in questo album. Il folletto di Fulda si ritaglia la canzone d’apertura tutta per sé, una lunga cavalcata che progredisce sia sotto l’aspetto musicale che sotto quello delle sensazioni. Poco meno di dieci minuti per un mid-tempo che sicuramente rimanda a “Mystery Of A Blood Red Rose” dal precedente “Ghostlights” ma che si sviluppa su un minutaggio nettamente maggiore. L’aura di magia che pervade tutto il brano, capace di trasportarci senza fatica nel mondo fantastico concepito da Sammet a cornice dei testi che compongono questo album, è un elemento che ritornerà anche in altre tracce di “Moonglow”.

Un album degli Avantasia non è tale senza un nutrito gruppo di cantanti ospiti. “Book Of Shallows”, da questo punto di vista, è uno degli esempii migliori presenti sul disco: Hansi Kürsch, Ronnie Atkins, Jørn Lande e Mille Petrozza si alternano alla perfezione all’interno di un brano che alterna la muscolarità di Atkins all’irruenza thrash di Petrozza, mischiando generi e situazioni senza che gli elementi antitetici cozzino uno contro l’altro. La visione dell’Arte che ha Sammet è sempre estremamente lucida e il sound tipico degli Avantasia riesce anche ad incamerare momenti di rottura – il thrash in questo caso - senza per questo risultarne snaturato. Il genio, però, è tale soprattutto quando si trova ad aver a che fare con l’inaspettato: la title track è un concentrato di atmosfere eteriche, magia, oscurità per famiglie alla Tim Burton che conquista fin dal primo ascolto. Il brano, pur essendo stato scritto senza una voce ospite già scelta, si adatta perfettamente, per stile e tematiche, a Candice Night, la quale riesce a dare vita ad una performance di altissimo livello. Il livello già alto dei primi tre brani viene ulteriormente innalzato da “The Raven Child”: l’aspetto celtico/medievale già presente nella precedente traccia qui viene ulteriormente amplificato anche grazie alla presenza di Hansi Kürsch. Sammet dà fondo alla sua fantasia una volta di più e dà vita al brano più lungo di tutto l’album dove gli elementi dei Blind Guardian, degli Edguy di “Mandrake” e degli Avantasia più epici e heavy acquistano una unicità che, ancora una volta, riesce ad amalgamare le diverse influenze senza risultare fastidiosa. L’uso di Lande nei momenti dove la canzone acquista i tratti della tipica cavalcata alla Avantasia, tra riff massicci ed irruenti, è esperienza ormai acquisita e maturata da tempo. Tutte le incertezze di un Sammet che si metteva alle redini di un progetto ampio ed ambizioso sono da tempo dimenticate: strumenti e voci sono dosati alla perfezione.

Dopo una quaterna di capolavori come quelli finora ascoltati, “Starlight” paga purtroppo dazio, risultando la più debole del lotto. Ci troviamo di fronte ad un brano veloce e leggero, metal melodico con cori ariosi dove Sammet e Atkins fanno il loro dovere ma, sarà il minutaggio contenuto, sarà l’arrivare dopo quattro tracce di elevata caratura, la canzone si fa dimenticare ben presto subito dopo l’ascolto. Discorso diverso invece per l’accoppiata che segue: “Invincible” e “Alchemy” lasciano decisamente il segno. La prima, una ballad cupa, con pianoforte e voce, dove Geoff Tate si può lasciare andare anche grazie ad atmosfere molto alla Queensrÿche, è un ottimo antipasto per il brano che segue, con le due tracce connesse alla perfezione da tastiere inquietanti che traghettano verso il sound più heavy di “Alchemy”. Tate non si risparmia in un brano che rimanda molto all’album “The Scarecrow”.

“The Piper At The Gates Of Dawn” è tipica magia alla Avantasia, a iniziare dalla nutrita schiera di cantanti – i già sentiti Atkins, Lande, e Tate a cui si aggiungono Eric Martin e Bob Catley – fino all’energia che riesce a trasmettere grazie ai diversi stili degli interventi vocali che si alternano con freschezza e vitalità. Veloce e potente, rimanda al passato degli Edguy. Catley dà il meglio di sé nella successiva “Lavender”, brano che si abbevera al sound anni ’80, ai cori ariosi e ad una leggerezza che la fa apprezzare fin dalle prime note. L’atmosfera magica si sposa alla perfezione con l’interpretazione di Catley che, anche al di fuori delle solite ballad, è ancora una grande garanzia di qualità ed interpretazione estremamente sentita. La sezione legata dal concept fantasy immaginato da Sammet si chiude con “Requiem For A Dream”. Unica apparizione di Michael Kiske a causa dei suoi impegni dal vivo con le zucche di Amburgo, non può che essere un omaggio alla musica degli Helloween, una lunga cavalcata che alterna momenti più heavy ad altri dove le chitarre assumo una leggerezza rock. La seconda metà del brano, tra indiavolati riff di basso e variazioni di chitarra lascia l’ascoltatore a bocca aperta. La vera conclusione dell’album è affidata invece ad una cover di “Maniac” di Michael Sembello che risulta gustosa e divertente il giusto. Non c’entra nulla con le precedenti dieci tracce dell’album ma è puro divertimento alla Tobias Sammet. Il duetto con Eric Martin e i taglienti riff di chitarra non fanno per nulla rimpiangere la versione originale e questa riscrittura sa bene come conquistare l’ascoltatore. Sammet si avvicina al brano da vero appassionato, da fan che rilegge con gusto personale e senza alcuna altezzosità la materia musicale.

Parlavamo di Arte all’inizio della recensione, quella con la A maiuscola. “Moonglow” è figlio della visione che Tobias Sammet ha dell’Arte presieduta dalla musa Euterpe. Libertà espressiva, cura dei particolari, fusione di stili e generi. Gli Avantasia, ancora una volta, sono una creatura multiforme. In venti anni sono cresciuti, si sono evoluti e, pur mantenendo dei tratti sempre comuni, guardano nelle direzioni musicali più disparate. La capacità di sintesi del musicista di Fulda ha raggiunto un punto ancor più elevato, dando vita ad un album coinvolgente, ben pensato, e, soprattutto, solido. Se non ci fosse stata la semplicità quasi “banale” – si badi bene alle virgolette – di “Starlight” si sarebbe potuto quasi parlare di un vero e proprio capolavoro. Ma anche così ci assestiamo ad un livello estremamente alto che di certo non lascerà indifferenti appassionati della band ed ascoltatori casuali.



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