Metallica
Death Magnetic

2008, Universal
Thrash

Recensione di Marco Somma - Pubblicata in data: 08/12/09

Di loro è stato detto ormai tutto il meglio e soprattutto il peggio possibile. Buona parte di tanti strali, bisogna dirlo, sono stati meritati. I Metallica hanno toccato il cuore di tanta gente e più o meno intenzionalmente lo hanno poi preso a calci. Ora bisogna fare un piccolo sforzo di sincerità, ed ammettere che ci sentiamo con loro come ci si sente con una ragazza che ci ha lasciato il segno. Ogni volta che torniamo a pensarci viviamo un misto di disagio e desiderio di ritorno. Questo è il problema dunque. Partiamo prevenuti e non importa se torna cambiata, con le migliori intenzioni. Per poterla valutare dovremmo prima dimenticarci chi è; farla diventare come un volto mai visto, del quale non sappiamo il nome nè le abitudini.

Questo è quello che proveremo a fare. Parrà strano ma è necessario. Tutti d’accordo allora. Ripartiamo da una tavola bianca, bianco è il booklet e bianco è il cd. Nessun nome campeggia a darci suggerimenti di quel che sta per succedere. Facciamo partire il lettore e sentiamo cosa ha da dire.

Un cuore batte nel profondo di un petto sotto pressione, le prime note di basso iniziano ad accompagnarne i battiti, forse è un eco o forse un appunto a rimarcare la tensione. Quando entra la voce le chitarre hanno già fatto il loro ingresso da alcuni secondi con un fondo di powerchords. Il ritmo è serrato, il canto un inciso fin dai primi versi: "Like a siren in my head that always threatens to repeat…". Le distorsioni non sono quelle delle band thrash dell’ultimo decennio, l’impasto non è totale e la violenza non è assoluta nonostante la registrazione presenti l’ormai caratteristica distorsione loudness war. La voce non si produce in growl o scream di sorta ma ha qualcosa di determinato e minaccioso… Il discorso è appena cominciato ma è subito evidente che non sarà un’esperienza indolore. Su alcuni contrappunti al finire della prima traccia la faccenda si sta già facendo delicata. Quando sulla metà del secondo brano tutto sembra calmarsi per offrirci un momento di intimismo e interiorità è quantomeno evidente che chiamarsi fuori e ignorare l’impatto emotivo richiederebbe una certa presa di posizione. Il piatto è di quelli tosti e questo è sicuro, ti prende al petto. Ha il sapore dell’aggressione e del sangue (che poi è quello del ferro). Tra il secondo e il terzo pezzo la percezione dei temi che trasudano dal disco è tale da farteli sentire addosso. La paura, il dolore, la sensazione di piegarsi ma di non potersi mai spezzare completamente. La volontà del confronto con le sensazioni estreme, la ricerca della morte. Quarta traccia. Siamo ormai dentro al disco e una chitarra dal suono limpido, alto, tocca corde scoperte, forse più scoperte in alcuni che in altri. Gente estrema che si piega solo di fronte al romanticismo fatto di ferite e sacrificio. L’album ci sta entrando dentro e non ha neppure fatto finta di chiedere il permesso, ma è esattamente questo che ci si aspetta da un gran disco metal…

Un paio di momenti non eccellenti allentano un  po’ l’effetto d’insieme, poi una lunga strumentale che ormai sentivamo arrivare. Da prima un po’ trascinata e struggente, poi decisa nella direzione che prende. Provante nel bene e nel male. In chiusura un pezzo serratissimo, spinto come una formula indie al limite del motore e del buon senso, l’apocalisse è il momento di fare i conti con quanto si è fatto e detto: "So we cross that line, Into the grips, Total eclipse, Suffer onto my apocalypse".

Alla fine il disco risulta un concept sul fascino che la morte e il superamento dei limiti possono esercitare, su quanto in la ci si possa spingere e di quanto possa essere duro l’impatto. Well, l’impatto è duro ma anche esaltante. D’altro canto stiamo parlando dei Metallica e questa è una cosa che stavolta non si può ignorare.





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